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Thatcher e Merkel a confronto. Parla l’ex ministro Forte

Maleducata, insistente, orgogliosa. Una donna che bisognava ascoltare e che sapeva chiedere, ma che, con la stessa forza, ignorava le richieste di tutti. O quasi. Secondo Francesco Forte, ministro delle Finanze nel governo Fanfani e ministro delle Politiche comunitarie in quello Craxi, la leader inglese Margaret Thatcher ha lasciato una grandissima eredità in Gran Bretagna e al di fuori dei suoi confini. Ed è il paragone con la leader inglese a mettere in risalto i residui di marxismo e i tic culturali che dominano tuttora il dibattito politico italiano, secondo l’economista Forte intervistato da Formiche.net.

La definizione “Iron Lady”

Dove è nata la definizione “Iron Lady”? “In una radio clandestina dell’Europa orientale che lanciò un messaggio: in Inghilterra una farfalla di ferro si è messa a volare’. Se la definizione fosse positiva o negativa non si sa, ma parlare di una farfalla in una radio dell’Est europeo occupato lascia intendere molto”, osserva Forte.

Perché Thatcher non è stata una vera monetarista 

“Margaret Thatcher viene solitamente considerata una monetarista, seguace delle teorie economico-monetarie di Milton Friedman. Ma c’è un equivoco di fondo. Se il monetarismo si basa sul rigore economico, il merito della leader è stato quello di averlo applicato non in campo monetario, compito che spettava alla Bank of England, ma nell’ambito dell’economia reale e della deregolamentazione del mercato. Era l’azione di governo ad essere al centro della scena, non quella della Bank of England, come succede invece oggi nell’Unione europea con la Bce. E sono state le riforme strutturali decise in quel periodo a portare alla liberalizzazione del mercato del lavoro, alla diminuzione della spesa pubblica e all’aumento della produttività economica. Le conseguenze? Un abbassamento dei disavanzi, del debito pubblico e del ricorso ai mercati finanziari. E tutto questo attuando una situazione di stabilità monetaria”, spiega.

La lotta alle corporazioni

Thatcher “ha fatto un’operazione molto difficile, mettendosi contro le lobby che stavano rovinando l’Inghilterra dell’epoca. Il ferro questa lady sembra averlo usato per piegare i vari Camusso e Bersani, e l’intreccio dei sistemi bancario e corporativo. Il suo è un merito storico. E ha fatto bene le privatizzazioni dando luogo ad una vera democrazia del mercato”.

I suoi limiti

Opponendosi ai sindacati delle miniere inglesi “ha messo in ginocchio un apparato che aveva esteso il protezionismo dappertutto, eliminando la stagflazione, che caratterizza anche l’economia del nostro Paese. Ha spezzato il legame tra sindacati, corporazioni e organizzazioni monopolistiche. Ha venduto beni statali sul mercato sostenendo le piccole imprese e creando i presupposti per il ridimensionamento della spesa pubblica, anche se non è stata così forte nella parte costruttiva. Il suo è stato un messaggio globale, ma i suoi limiti sono stati la sua classe politica e la dicotomia tra liberali e conservatori, con l’assenza, come in Italia, del sostegno di una forza moderata vasta”, sottolinea.

La sua eredità

L’eredità di Thatcher in Gran Bretagna, d’altronde, “è ancora fortissima, nonostante la sua azione di governo sia stata portata avanti con alcune ambiguità dai suoi collaboratori e da lei medesima. Il settore finanziario che si è sviluppato a Londra è stato in grado di generare una forte reindustrializzazione nel settore tecnologico e di beni e servizi. Ma la trattativa con lei non esisteva, e così è riuscita ad ottenere regimi fiscali privilegiati per il suo Paese nell’Ue. Anche se, come dimostra la vicenda del consiglio europeo di Milano nel 1985, Craxi riuscì a renderla furiosa ottenendo il consenso per votare a maggioranza la convocazione di una Conferenza InterGovernativa per la riforma del Trattato. Anche Thatcher, quindi, nel suo nazionalismo aveva un limite”, commenta l’ex ministro.

Il focus sull’economia reale

Ma, d’altra parte, quella di Thatcher è “stata la classica mentalità empirica inglese. E questa è la caratteristica che la distingue dal premier Mario Monti e dal suo strano modo di ragionare, affine a quello dei burocrati di Bruxelles. Quello a cui lei guardava era il funzionamento dell’economia reale. Diversamente da quanto succede per in Italia, in cui sono sopravvissuti dei residui dell’ideologia marxista, dei tic culturali hegeliani”, conclude Forte.


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