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Anche Confindustria e sindacati sono a rischio declino. Parla Treu

La crisi delle rappresentanze corre parallela tra partiti politici e parti sociali. Nessuno viene risparmiato, tutti rischiano di affondare nel naufragio che sta spazzando via storiche certezze e consolidati punti di riferimento. Il “Diario del Lavoro” ne parla con Tiziano Treu, che da tempo studia il problema. Un problema, avverte, che riguarda sia il sindacato che la Confindustria e le altre associazioni di impresa; e se del primo si parla di più, è solo perché è soggetto quasi morboso di studio, a differenza del mondo imprenditoriale, più chiuso allo sguardo esterno.

Intanto, c’è questo declino del sindacato, effettivamente? Ed è un problema solo nostro o mondiale?

E’ mondiale. Prima della crisi si sosteneva che in Italia, tutto sommato, la situazione era migliore che in altri paesi, ed effettivamente da noi la rappresentanza dei lavoratori regge: gli iscritti alle centrali sindacali non calano, anche se sempre più sono limitati al lavoro tradizionale, i lavoratori stabili dell’industria manifatturiera e dell’edilizia, i vari settori del pubblico impiego, i pensionati. Restano fuori i giovani e le nuove tipologie di lavori. Un declino quindi non tanto anagrafico, quanto di appeal, non avendo avuto la capacita di parlare a quel mondo di lavoratori precari e parasubordinati, provvisti di qualificazione incerta e di ancor più debole autonomia contrattuale sul mercato. Ma tutto sommato un declino contenuto, che consente al sindacato di conservare il proprio zoccolo duro sul quale contare anche per le risorse materiali e politiche.

E gli imprenditori?

Sono rimasti un po’ sullo sfondo, ma oggi hanno un problema molto serio anche loro. C’è infatti una spinta fortissima al decentramento delle relazioni industriali, stiamo tornando ai contratti aziendali. Si difende ancora, in teoria, il contratto nazionale, ma in realtà si fanno deroghe su deroghe. E come si potrebbe non farle? Di fronte al dilemma ‘’ne licenzio 500 oppure mi dai il demansionamento’’, ovvio che il demansionamento, alla fine, passa. Il rischio di una balcanizzazione è quindi molto vicino. Comunque delle imprese in realtà si sa molto poco. A differenza del sindacato, che ama moltissimo farsi analizzare, alle imprese non piacciono i riflettori sul loro mondo interiore. Ma qualcosa comunque la si vede anche a occhio nudo. Per esempio, vediamo che in Italia, come in altri paesi europei, cresce la tendenza “Marchionne”.

Intende dire farsi i contratti su misura?

In Germania il 50% dei contratti è fatto al di fuori del perimetro della Confindustria tedesca. La quale, con assoluto pragmatismo, ha affermato che i suoi iscritti possono fare la contrattazione come meglio credono, purché continuino ad essere iscritti e a pagare la quota associativa. Sostengono i tedeschi che la contrattazione non è il loro core business. Non è vero, naturalmente: perché è sempre quella l’attività cardine, quella che pesa sul piano politico e sociale. In Germania come in Italia.

E dunque, le strutture padronali sono più in crisi dei sindacati?

Vivono una crisi più grave. Al di la della Fiat ci sono vari tentativi, in parte riusciti, di gruppi di imprese che si attrezzano per farsi i loro contratti. Senza fare tanto baccano come Sergio Marchionne, ma con lo stesso obiettivo: mollare la rappresentanza di Confindustria e fare i propri contratti da soli. Sta accadendo all’auto, ma anche nel settore elettrico, nei servizi, in alcuni altri settori nuovi.

Quindi la nuova tendenza della rappresentanza è verso la frammentazione?

Verso la frammentazione in gruppi di pressione che rappresentano interessi sempre più particolaristici. E questo preoccupa. Perché si sta perdendo la funzione più nobile dei corpi intermedi come l’abbiamo sempre conosciuta, a favore di una sorta di lobbismo dove ognuno tira acqua al suo mulino, perdendo di vista il quadro dell’interesse comune.

Il sindacato come lo affronta?

L’elemento che risulta davvero incomprensibile è che a fronte di questa situazione i sindacati sono ancora divisi, come fossero mossi da uno spirito suicida. Inoltre, anche quelli che una volta erano portatori di nuove idee, come la Cisl, oggi sembrano spenti: litigano con la Cgil, ma senza costrutto. Insomma, la situazione è molto seria. E forse ha ragione chi sostiene che è una crisi ancora più grave di quella che sta vivendo la politica.

D’altra parte, Beppe Grillo ha avvertito: in breve tempo saranno spazzati via tutti i corpi intermedi, partiti o sindacati che siano.

Purtroppo, al momento la percezione che si ha del sindacato è molto simile a quella dei partiti: poltrone, poteri. Ma occorre fare attenzione: perché in quella zona desertica che Grillo ha in mente, lasciata vuota dai corpi intermedi, crescono solo le dittature.

Sulla politica pesa il tema dei costi. Ma esiste un problema analogo, di trasparenza di bilanci, anche nelle rappresentanze?

Eh, direi. Quanto costa, e quanto spende, la Confidustria? E Rete Imprese Italia? Nessuno lo sa, nessuno lo chiede. Per ora, almeno. Ma soprattutto c’è il problema degli enti bilaterali: la parte più corposa del business, su cui ne sento di cotte e di crude. Topi nel formaggio, che si creano un mondo parallelo di poltrone e poltroncine. Ed è un fenomeno bipartisan, che coinvolge sindacati e imprese nello stesso modo.

Cosa dovrebbe fare il sindacato per salvarsi dal naufragio?

Non bastano innovazioni organizzative o motivazionali, occorre un riorientamento strategico degli obiettivi che faccia leva sulla crescita di domanda di tutela e diritti che attraversa il mondo del lavoro. Si tratta di allargare gli orizzonti dell’azione sindacale, ricorrere a risorse giuridico/istituzionali, ad alleanze con altre organizzazioni sociali e politiche, rappresentative di interessi diversi da quelli economici lavoristici, originati al di fuori dei luoghi di lavoro e radicati in identità personali e sociali di razza, sesso, etnia, disabilità, orientamento sessuale. Ma non so se basti anche questo.

Ma da questa crisi, secondo lei, usciranno più facilmente i partiti o le parti sociali? Ammesso che se ne esca, naturalmente.

Il sindacato è sempre cresciuto appoggiandosi, e a sua volta fornendo appoggio, ai partiti riformisti. Avrebbero ancora bisogno l’uno dell’altro. Ma la vedo dura, e sono molto incerto sul futuro: vorrei avere l’ottimismo della volontà, ma temo prevalga il pessimismo della ragione.

La conversione completa si può leggere qui.


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