Pochi giri di parole. Il Dragone potrebbe comprarsi la produzione tedesca di un anno ad occhi chiusi, e in contanti. La Cina infatti segna un export da record che fa lievitare le risorse monetarie straniere nelle casse della Banca centrale. Di fronte all’aggressione commerciale di Pechino, Bruxelles gioca la doppia strategia. Se con un piede cerca di far valere i propri diritti di fronte a comportamenti commerciali cinesi ritenuti sleali nell’ambito della disciplina stabilita dal Wto, con l’altro è già Oltreoceano per siglare un accordo di libero scambio con gli Usa che allarghi l’orizzonte delle imprese del Vecchio Continente. Una strategia che Washington rimpalla a sua volta nel Pacifico, cercando di accerchiare Pechino.
Le riserve cinesi da record
La Cina, spiega il Financial Times, sta di nuovo registrando pesanti afflussi di capitale. Le riserve estere nelle casse della Bank of Japan sono le più sostanziose dal secondo semestre del 2011 e fanno impallidire quelle degli istituti centrali nel resto del mondo. Le riserve nel primo trimestre del 2013 sono salite a 3,44 mila miliardi di dollari, circa l’equivalente dell’economia tedesca. D’altra parte, l’export cinese è aumentato del 10% a marzo ma quello verso Hong Kong ha segnato il record del 93%.
Il perché della grande disponibilità di liquidità
I programmi di Fed e BoJ stanno fornendo molta liquidità in entrambi I Paesi, generando cash che finisce anche nelle casse degli Emergenti, come la Cina, la cui Banca centrale è stata costretta a vendere asset, drenando liquidità dal mercato per bloccare la spirale inflazionistica.
La reazione di Pechino
L’aumento delle riserve segna un cambio di rotta rispetto allo scorso anno. Il ritorno di liquidità dall’estero ha permesso di aumentare l’offerta creditizia nel primo trimestre, secondo il governo. I nuovi finanziamenti all’economia sono quindi cresciuti del 58% rispetto a quelli del 2012.
Il declassamento di Fitch
Negli scorsi giorni però l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese, considerando troppo elevato l’indebitamento di governi locali e società. L’agenzia si è detta inoltre preoccupata della crescita dello shadow banking, del 16% rispetto all’anno precedente. I segnali d’allarme ci sono: il credito escluso dal sistema bancario ufficiale è più che raddoppiato.
La proposta anti-cinese allo studio della Commissione
Unione europea e Stati Uniti temono sempre più le mosse del Dragone. Bruxelles per esempio punta a rafforzare i propri poteri per tutelare le aziende europee dalla concorrenza sleale sui mercati mondiali, prendendo di mira in particolare la Cina.
L’ultima proposta presentata alla Commissione prevede la possibilità di incrementare il margine di intervento sulle possibili tariffe di importazione contro aziende cinesi che beneficiano di sussidi governativi. Una misura che rafforzerebbe il potere di Bruxelles di avviare le indagini, senza dover attendere la denuncia delle società europee, sempre più restie ad alzare la voce contro la concorrenza sleale per timore di ritorsioni da parte di governi stranieri.
I temi spinosi
La proposta è stata presentata mentre la Commissione sta ancora valutando se agire contro la Cina su controversie commerciali su telecomunicazioni e pannelli solari, due settori da cui Bruxelles si aspetta una spinta per creare occupazione e crescita.
I sussidi alle aziende cinesi
Una delegazione della commissione è partita ieri alla volta di Pechino su richiesta del governo cinese per discutere dei sussidi garantiti alle sue aziende in questi due settori. Alcune fonti europee hanno riferito al Wall Street Journal che il governo cinese minaccia di imporre tariffe sulle importazioni e di contrastare gli investimenti delle aziende europee che denunciano il comportamento sleale della Cina. “La commissione vuole uscirne più forte e dire che questo non è accettabile”, ha detto al Wsj un funzionario Ue.
Il trattato Ue-Usa
Se l’Unione Europea pensa a difendersi dall’inondazione di merci cinesi nel suo mercato, la strategia degli Usa, sottolinea il quotidiano della City, punta sui trattati di libero scambio che creino nuove aree commerciali privilegiate e mettano al muro Pechino. Dopo un anno di trattative, gli Usa e l’Unione europea hanno avviato I negoziati per un accordo di libero scambio che coprirebbe una zona economica che rappresenta il 40% delle transazioni mondiali.
La Trans Pacific Partnership
Allo stesso modo, il presidente Usa Barack Obama ha messo in cantiere la Trans Pacific Partnership, un secondo trattato di libero scambio con le economie più vivaci dell’Asia: Singapore, Australia, Vietnam e Giappone. Ma più dei partecipanti, a pesare è l’assenza della Cina. L’Abc sta diventando un motto anche negli Usa, dopo quello politico italiano (Alfano-Bersani-Casini). L’Abc americano in sostanza è “Anyone but China”.
La strategia di Obama
Ma in realtà il Tpp e il trattato con l’Europa guardano proprio alla Cina. L’agenda include i sussidi statali e la tutela della proprietà intellettuale, i temi che stanno diventando l’osso duro delle contese con Pechino. Se gli Usa riuscissero a vincolare più Stati, potrebbero stabilire degli standard commerciali mondiali che la Cina sarebbe a quel punto obbligata a rispettare.
Ma Pechino è già sul piede di guerra, commerciale. “Gli Usa stanno riscrivendo le regole degli scambi globali alle nostre spalle”, ha spiegato un funzionario statale cinese.
I rischi
Il rischio delle mosse statunitensi è quello di incoraggiare la Cina a calpestare ancora di più il sistema commerciale mondiale. Se questo succedesse, i negoziati tra Usa ed Europa non sarebbero l’inizio di una nuova era di integrazione economica ma un colpo forte alla globalizzazione.