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Si devono licenziare un milione di statali. I consigli del prof. prodiano Zamagni

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Giorgio Ponziano sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi del gruppo Class Editori.

Sul banco degli imputati ci sono le rendite di posizione («che nessun partito finora è riuscito a scalfire»), l’elefantiaco apparato burocratico («un milione di dipendenti pubblici sono in esubero»), la politica del piccolo cabotaggio («si guarda all’immediato, dove sono finiti gli ideali e le grandi scelte strategiche?»), la scuola avulsa dal sistema produttivo («gli studenti escono dalla scuola e dall’università senza sapere cos’è un’azienda»), la difficoltà di cambiare le categorie del pensiero economico («siamo ancorati al taylorismo e alla difesa di un welfare che non si regge più»).

Stefano Zamagni, 70 anni, è stato preside della facoltà di Economia dell’università di Bologna, è presidente dell’Agenzia (governativa) per il terzo settore. È considerato un economista controcorrente, e lo conferma: «John Maynard Keynes disse che la ragione per cui non si risolvono i problemi economici non è la mancanza di risorse ma liberarsi dalle vecchie idee.
Un concetto più che mai attuale, non vedo uscita dalla crisi se la mente di chi si occupa di cose pubbliche non si libera della vecchia concezione della politica economica, gli economisti brancolano nel buio perché continuano a ragionare con le vecchie categorie mentre la situazione è del tutto nuova e non accetta soluzioni tradizionali».

Domanda. Da dove si dovrebbe incominciare per fare riprendere la marcia all’economia italiana ?

Risposta. Vi è un enorme problema di rendite di posizione che frenano l’economia. Vi sono rendite finanziarie, burocratiche, immobiliari che non sono mai state realmente toccate perché si tratta di bacini elettorali che fanno gola ai partiti. La rendita più invasiva è quella burocratica, finora impermeabile a ogni cambiamento. Ma il mercato non può modificarsi, e diventare globale, mentre le rendite rimangono ferme al palo: finiscono per frenare inesorabilmente la crescita. L’area della rendita è in Italia di gran lunga la più vasta tra i grandi Paesi occidentali.

D. In che modo vincere le rendite ?

R. Mandando al governo forze che non siano elettoralmente legate alle rendite. C’erano le baby pensioni, uno scambio di favori tra la politica e chi operava nella pubblica amministrazione. Questa è una battaglia che è stata vinta. Nel pubblico impiego vi sono un milione di dipendenti in esubero, anche qui si è trattato di uno scambio: io ti assumo e tu mi voti. Con la spending review si è incominciato a mettere mano al problema, lo Stato dovrà dimagrire di un milione di dipendenti pubblici che occupano falsi posti di lavoro. Il cammino per liberarsi dalle rendite sarà lungo.

D. Deve cambiare anche il concetto di welfare ?

R. Certamente, lo Stato non è più in grado di farvi fronte, quindi o si ritira con gravi ripercussioni sulla società oppure avvia la sussidiarietà circolare, cioè l’alleanza strategica tra ente pubblico e soggetti privati. Attenzione, la sussidiarietà circolare non è quella orizzontale, quest’ultima eroga servizi pagati dallo Stato ma realizzati dai privati e quindi ci si ritrova da capo in mancanza di risorse, la seconda invece mette insieme risorse pubbliche e risorse private per raggiungere determinati obiettivi e consente al pubblico di risparmiare. Faccio un esempio. Un bambino a scuola costa allo Stato dieci, può esserci una scuola privata che chiede allo stato 5 e si autofinanzia, col risultato che lo Stato ha risparmiato fornendo lo stesso servizio.

D. Lei è nel consiglio d’amministrazione di una cassa di risparmio. Si sente sotto accusa quando gli imprenditori lamentano la mancanza di credito?

R. Le banche sono imprese e il guadagno arriva dalla fornitura di servizi. Quindi dal presidente all’ad al cda tutti vorrebbero erogare credito e guadagnare. Il problema sono le regole imposte dalla Bce e da Banca d’Italia che in molti casi lo impediscono. Lo stesso problema vi era negli Stati Uniti ma è intervenuto il presidente Obama e la Federal Reserve ha allentato la stretta del credito. In Europa la Germania non sente ragioni e di conseguenza la Bce non modifica la strategia di stretta del credito. Bisogna aggiungere che molte imprese scaricano sul fronte del credito i mancati pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Speriamo che coi recenti provvedimenti del governo la tensione si allenti.

D. Poi c’è l’allarme-disoccupazione?

R. Bisogna chiedersi, ma nessuno lo fa, perché in Italia vi è una disoccupazione all’11 % e una disoccupazione giovanile al 37 %. Sì, c’è la crisi ma perché in nessun Paese europeo la disoccupazione giovanile è così alta come in Italia? La risposta è che le aziende non assumono i giovani perchè essi non sono preparati ad entrare nel mondo produttivo e con la crisi di risorse non investono più in quella formazione, chiamiamola privata, che suppliva alle mancanze della scuola. Ci portiamo dietro l’eredità di Benedetto Croce, che proponeva la scuola come luogo di cultura. Oggi non basta più, i giovani debbono uscire dalla scuola preparati ad entrare nel sistema produttivo, i miei studenti di economia si laureano conoscendo perfettamente le teorie e i grandi concetti economici ma quando entrano nell’ufficio di un’azienda non sanno da che parte incominciare.

D. L’empasse politica sta danneggiando l’economia?

R. Sì, ancora una volta i tempi della politica non coincidono con quelli dell’economia. D’altra parte negli ultimi decenni è stata enfatizzata una politica priva di valori e ideali, tutta concentrata sui piccoli interessi anche personali ma un siffatto modo di concepire la politica finisce per indebolire pure la forza economica di un Paese. Quindi o si ritorna a una politica di grande respiro e di grande prospettiva oppure l’Italia è destinata al declino.

D. Cosa ne pensa del voto grillino ?

R. È un fenomeno di rottura, di reazione, è come la febbre che colpisce un organismo per denunciare che qualcosa non va. In realtà il movimento 5stelle non ha una proposta politica, quegli 8 milioni di voti appartengono a mondi diversi, con visioni, esigenze, aspettative difformi. Non a caso Grillo continua a dire che il suo non è un partito ma un movimento. Contribuirà al rinnovamento della politica ma attenzione perché negli ultimi vent’anni si è abbandonata la politica forte a favore del pensiero debole e anche per questo ci troviamo così malconci. Quindi Grillo può essere positivo se aiuta a chiudere con la politica degli interessi degli uni e degli altri, recuperando valori, idealità e quindi una direzione di marcia strategica.


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