L’ingorgo istituzionale che segue l’appuntamento elettorale di fine febbraio è tale perché in queste settimane non saranno scelti solo i vertici di Parlamento e governo.
La decisione più rilevante e significativa riguarda l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Sin qui, i principali organi di informazione si sono intrattenuti nel consueto gioco di società: il toto-nomi. Quale sarà la scelta dei deputati e dei senatori non la possiamo né vogliamo prevedere.
Quello che invece riteniamo giusto evidenziare è il rischio, grave e inedito, che si può correre in questa occasione. Le brevi ma intense settimane di campagna elettorale hanno lasciato un segno profondo perché la divisione fra politica e antipolitica è stata prevalente rispetto alla gara fra i numerosi schieramenti partitici.
La rabbia e la delusione degli italiani è stata ed è grande e si è manifestata in tanti modi, non ultimo con il voto a Grillo e al suo Movimento 5 Stelle. Cosa c’entra questo con il Colle? Si potrebbe infatti spiegare che il capo dello Stato, alla fin fine, si elegge a maggioranza e che i grillini sono pur sempre all’opposizione. È vero, ma il tema è, ahinoi, più complesso.
In passato è già capitato che l’inquilino del Quirinale sia stato frutto di un voto a maggioranza, ma in ogni caso, una volta eletto, il presidente è stato poi sempre accolto da tutti. Questo non ha mai impedito che vi fossero, nel corso del settennato e in particolare verso la fine del mandato, polemiche anche forti. Nessuna forza politica però ha mai tentato di desacralizzare la funzione e il ruolo del capo dello Stato.
Questa volta le cose potrebbero andare diversamente. La pattuglia parlamentare dei 5 Stelle è composita e magari nel corso della legislatura si sfalderà. Intanto, però si può dare per certo che al primo appuntamento che conta (il voto per il Colle) sarà compattissima.
E lo sarà in una chiave antipolitica di rifiuto del nome che emergerà e che chiaramente avrà una sua “storia” alle spalle. La campagna di delegittimazione che ne potrebbe seguire può essere pericolosissima, in quanto potrebbe minare le fondamenta del ruolo del presidente della Repubblica che incarna l’unità dell’Italia e degli italiani. Sarebbe una sciagura e la cosa più grave e disarmante è che sarebbe frutto di una scelta scellerata fatta a prescindere dal nome che emergerà dalle valutazioni delle forze politiche presenti in Parlamento.
L’unico argine che c’è stato nel contenimento delle spinte centrifughe e di autodissoluzione istituzionale è a rischio. È un allarme che lanciamo con senso di gravità. Non avendo consuetudine a celare le nostre opinioni, vogliamo su questo essere molto chiari.
In una condizione di pericolo di “emergenza democratica”, piuttosto che trasformare il Quirinale in un luogo assediato e sede di una corrida, riteniamo che sarebbe molto più sensato chiedere all’attuale garante della Costituzione di restare. La sua credibilità e il suo rapporto di stima e affetto con gli italiani sarebbero il modo più sicuro per proteggere un luogo che è e resta il cuore della convivenza civile in una, sola e unita, Repubblica. A Giorgio Napolitano e ai parlamentari tutti rivolgiamo l’appello a non sottovalutare le nostre preoccupazioni.
Editoriale pubblicato sul numero 79 (marzo) della rivista Formiche