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Perché Verizon-Vodafone è un’occasione persa per le tlc

L’americana Verizon smentisce le voci di aver avanzato un’offerta con AT&T per acquistare il colosso britannico di telefonia mobile Vodafone. “Come abbiamo più volte fatto sapere – spiega il gruppo – potremmo essere interessati alla partecipazione del 45% che Vodafone detiene in Verizon Wireless. Al momento non abbiamo nessuna intenzione fonderci o fare offerte per rilevare Vodafone, da soli o insieme ad altri”.

L’euforia dei mercati dopo le indiscrezioni

Ieri Vodafone era volata infatti sulla piazza di Londra in scia alle indiscrezioni sull’eventuale colpo dei due colossi americani. Secondo i rumors riportati dal blog Alphaville del Financial Times, l’offerta, che avrebbe visto il supporto di Barclays Us, avrebbe comportato un premio del 40% sull’attuale prezzo azionario di Vodafone, attestandosi a circa 260 pence, e avrebbe valorizzato Vodafone per 245 miliardi di dollari. Un’operazione, che secondo MF – Milano Finanza, avrebbe fatto “impallidire la fusione da record tra Aol e Time Warner“. E i mercati scontano già la delusione per la smentita dell’offerta, facendo segnare a Vodafone un calo del 2,6% in mattinata.

Una logica esclusivamente finanziaria

Il deal, sottolinea il Sole 24 Ore, avrebbe potuto avere l’effetto di mettere “in moto un processo di consolidamento del settore tlc anche in Europa, dove il mercato è frazionato tra centinaia di operatori. La logica degli americani sarebbe stata squisitamente finanziaria, perché sotto il profilo industriale la scommessa sarebbe stata un azzardo, dato che non si vede la fine della severa crisi che sta dilagando in Europa” e sarebbe servita “molta pazienza nel raccogliere i frutti di quanto seminato”.

La protezione degli interessi nazionali

D’altra parte, “se davvero l’Europa dovesse diventare terreno di caccia di americani e cinesi, magari la difesa degli interessi nazionali renderebbe possibile quella rete infrastrutturale paneuropea che finora sembrava essere relegata al mondo dei sogni. Con effetti imprevedibili: da una parte le logiche finanziarie del mercato anglosassone, dall’altra le logiche ‘protezionistiche’ di un’area che non ha mai provato a difendere i propri interessi in chiave davvero federale”, conclude il Sole 24 Ore.


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