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Vi spiego perché Enrico Letta rottamerà Beppe Grillo

Pubblichiamo il commento dell’editorialista Federico Guiglia pubblicato oggi sulla Gazzetta di Parma, quotidiano diretto da Giuliano Molossi

Per adesso il suo cognome prevale sul nome: Letta Enrico, e molti ancora lo confondono con il più celebre zio Gianni, il dottor sottile di Silvio Berlusconi. Ma date tempo al tempo, ed Enrico Letta, cioè il presidente del Consiglio incaricato, un uomo tanto mite che non deve aver gridato neanche quando da bambino lo vaccinavano con gli aghi affilati, può passare alle cronache come il rottamatore di Beppe Grillo. Letta Enrico che manda in pensione il Comico più politico d’Italia? Incredibile, ma vero.

Le condizioni ci sono tutte. Intanto, l’incaricato si muove in un contesto che mai è stato così fragile. Lui stesso è il reggente o il vice-segretario (o non si capisce che cosa) del Pd e di quel che resta del giorno. Il giorno in cui tale partito, che aveva vinto le elezioni senza averle vinte, decise di perderle definitivamente, silurando, nell’ordine, il fondatore Franco Marini e il padre fondatore Romano Prodi dalla corsa al Quirinale. Non c’era nessuno a cui affidare la creatura ferita e orfana, e perciò tutti pensarono a lui, all’uomo che sussurra ai partiti: diamola a Enrico, che non fa male a nessuno.

E così questo reggente nato a Pisa, e che il 20 agosto compirà quarantasette anni -poco più della metà degli anni di Re Giorgio Napolitano-, s’è presentato anche lui al cospetto del Quirinale. Ma solo per ricevere l’incarico di formare, se ne sarà capace, il governo. S’è presentato -attenzione alle forme- guidando lui stesso l’automobile, e senza essere scortato né da Gorilla né da portaborse. Una non-notizia per i cittadini normali, che però nella patria delle auto blu e dei vitalizi è diventata una bella notizia. Forse Letta Enrico non appartiene al clan, o almeno fa vedere che vuole liberarsene. Casta addio: ci piace pensarlo o sperarlo.

Da quel momento il Nostro non ha più pronunciato parola. Intendiamoci, se l’avesse fatto, in pochi l’avrebbero sentito, tanto è flebile il tono della voce. E nessuna traccia avrebbe, comunque, lasciato. Perché quando Letta Enrico parla, sembra che dica poco o niente. Eppure, se è vero che un paio delle priorità dell’esecutivo in formazione saranno l’abolizione del finanziamento ai partiti -norma invereconda-, e la revisione dell’Imu sulla prima casa, ossia la tassa più odiosa che ci sia, questo silente e sottovalutato presidente del Consiglio avrà tolto ai 5 Stelle, e di colpo, e a sorpresa, due degli argomenti più insidiosi.

Si dirà: di ben altro hanno bisogno gli imprenditori, i lavoratori e soprattutto i disoccupati in Italia. Ma Enrico è, paradossalmente, uomo molto fortunato. Perché con l’appoggio dei fratelli-coltelli Pd-Pdl e con Napolitano che suona la campana (“non c’è alternativa al successo di Letta”, ha ammonito il nostro sempre più in gamba presidente), il governo potrà usare la mano pesante con Bruxelles e la testa pensante a Roma, allentando l’ottuso rigore monetario con provvedimenti di crescita e con investimenti nel lavoro e nel futuro. Chi, d’altronde, meglio del giovane-vecchio Enrico, prontamente sostenuto dal giovane-ragazzino Matteo Renzi? Proprio l’impossibilità di fare cose di destra né di sinistra, ma di fare cose semplicemente di buonsenso e in fretta, metterà il buon uomo nelle condizioni del Riformatore possibile. Che è il miglior antidoto, si sa, contro le Rivoluzioni impossibili. Ecco perché Enrico può seppellire Beppe, e non solo di risate. Seppellirgli l’idea che la politica sia incorreggibile nei suoi privilegi e insopportabile nelle sue non-decisioni. E’ la buona politica che batte l’anti-politica, è “l’onestà che torna di moda”, come dice Grillo, la base per poter finalmente costruire un grande sogno italiano.

Vuoi vedere che Letta Enrico, l’uomo che non grida mai, ci farà dimenticare l’uomo che grida sempre?


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