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Elezioni: Un buon segnale per il Pd di Epifani

Due i dati principali del mini-test elettorale: la crescita dell’astensionismo, segno inequivocabile del trasformismo causa del profondo distacco dei cittadini da una classe politica ignorante, arrogante ed incolta dedita ad affari, tangenti e carriera; la tenuta in un frangente difficilissimo e delicatissimo del Pd guidato dall’ex-leader della Cgil Guglielmo Epifani. Il tonfo del M5S e della Lega e la perdita di consensi del Pdl, il partito personale di Silvio Berlusconi, e delle varie costellazioni della destra neofascista, fanno il paio con l’ennesima debacle – a sinistra – delle fantasmagoriche narrazioni di ‘cantieri’ per ‘un nuovo soggetto politico’ cui aspirano poeti, filosofi, politici mai divenuti migliori e scrittori, preti di campagna e sindacalisti, riuniti sotto le ali di riviste radical chic, Micromega, e della gia’ gloriosa Fiom, la categoria dei metalmeccanici della Cgil, un tempo magistralmente diretta da un ‘uomo di cultura giellista’, Bruno Trentin ma poi divenuta il teatrino degli inconcludenti ‘sandinisti’: dal capostipite Claudio Sabbatini, che in coppia con ‘il rosso’ Fausto Bertinotti condussero la Fiom alla lacerante sconfitta dell’80 alla Fiat tirandovi dentro Enrico Berlinguer con il comizio a Mirafiori, all’attuale leader, Maurizio Landini. L’aumento dell’astensionismo e la tenuta del Pd di Epifani, sono, a ben guardare, le facce della stessa medaglia: come riguadagnare la fiducia della gente delusa e nauseata da una Politica senza passionalita’ e progettualita’, incapace cioe’ di elaborare un modello di societa’ che risponda alle aspettative e attese non solo economiche delle persone, da una parte, e dall’altra come dotare il Pd, che con tutte le sue incongruenze e incoerenze, resta il solo ‘partito non personale’ dove vige la dialettica ed il confronto tra culture politiche diverse, di un’identita’ certa, in vista dell’imminente sfida culturale e politica delle elezioni europee. L’appuntamento di maggio 2014 per il rinnovo del Parlamento europeo tra due schieramenti: quello dominante ‘clerico-liberista’ delle forze moderate e conservatrici e quello ‘progressista’ delle forze raggruppate nel Partito Socialista Europeo, il cui obiettivo e’: abbattere la nefasta austerita’ imposta dalla ‘dittatura finanziaria’ delle prime per l’avvio di ‘societa’ progressiste’ dove la socialita’ abbia il primato sull’individualismo; il lavoro ritrovi la sua dignita’ insieme ad un salario equo, dove il benessere psico-fisico delle persone non sia piu’ legato al possesso di cose materiali ma all’essere, ossia alla formazione dell’identita’ personale e orginale di ciascuno, per cui si e’ tutti uguali ma diversi. In quest’opera di definizione di un’identita’ certa del Pd, Epifani ha tantissimo da immettere per cultura – riformista e socialista – e formazione – sapere e conoscenza maturata sul campo del mondo del lavoro. Non sara’ la sua un’opera facile e semplice stante la ‘guerra guerreggiata’ per bande interna al Pd, nato dalla ‘fusione a freddo’ tra due culture che inconciliabili per storia lo sono divenute per potere: la post-comunista e la post-democristiana. Dotato di buon senso, pacatezza e determinazione, Epifani ha comunque piu’ una chance di essere uno dei protagonisti del prossimo congresso del Pd. Nessun abiura e’ richiesta a nessuno, semmai una seria e ponderata riflessione critica, si’. Ha iniziato Valter Veltroni, purtroppo in ritardo di cinque anni, dopo la sua Waterloo del 18 aprile 2008, riscoprendo l’azionismo e il riformismo, ri-evocati nel suo ultimo libro per Rizzoli, ‘E se domani. L’Italia e la sinistra che vorrei’. A sostegno della sua proposta sul semi-presidenzialismo ha ripreso l’intervento che fece nel 1946 alla Costituente l’azionista Piero Calamandrei, in alternativa alla Repubblica Parlamentare con Camera e Senato, scelta dai partiti di massa, Pci, Dc e Psi. Quei ‘fastidiosi azionisti’ come li definiva con disprezzo Palmiro Togliatti, volevano come modello istituzionale dello Stato repubblicano il modello anglosassone, della democrazia britannica, dove il Presidente della Repubblica era anche Capo del governo, era eletto a suffraggio universale anziche’ da Camera e Senato, cioe’ dai partiti, ed in sede di elezioni il candidato alla Presidenza della Repubblica, proprio perche’ sara’ anche Capo del governo, era costretto a presentarsi con programma di governo. In tal modo, il compromesso programmatico avveniva, non dopo, ma prima delle elezioni fra alcuni partiti obbligati ad accordarsi sulla candidatura. Il popolo, dunque, votava per un governo precostituito e la lotta politica dal Parlamento non si sarebbe trasferita, come gli azionisti prevedevano, all’interno dei partiti. L’elaborazione di questo modello istituzionale aveva in se’ importatissime ‘riforme’, che Veltroni ignora, inerenti il radicale cambiamento di quei centri di potere creati dal Regime: burocrazia, magistratura, esercito, stampa che andavano ripuliti in toto ma che restarono intatti per il decreto di amnistia del Guardasigilli Togliatti che d’intesa con Alcide De Gasperi, contrasto’ questa agognata ‘rivoluzione liberale’ degli azionisti impedendola con il voto favorevole all’art.7 della Costituzione che fece norma costituzionale (!) i Patti Lateranensi del 1926 tra Mussolini e la Chiesa che Gramsci defini’ ‘la capitolazione’ dello Stato. La proposta di Veltroni di un semi-presidenzialismo alla francese, Epifani l’ha presa nella dovuta considerazione. Quanto al riformismo, Veltroni riconosce: “la verita’ drammatica e’ che mai nella storia d’Italia il riformismo e’ stato maggioranza” e quindi c’e’ necessita’ di “una grande forza di centro-sinistra che tenga al suo interno tutte le culture riformiste”. Non sappiamo cosa ne pensi Epifani, ma certamente per la sua storia riformista e socialista, non manchera’ di colmare ‘i vuoti’ e ‘le lacune’ di Veltroni che non puo’ non sapere chi furono negli anni ’60-’70 i protagonisti dell’unica, grande stagione ‘riformatrice’ del Paese. Quella della nazionalizzazione dell’energia elettrica, della programmazione economica, della industrializzazione, che miglioro’ le condizioni di vita dei lavoratori e dei piu’ deboli con diritti sociali: lo Statuto dei Lavoratori che porto’ in fabbrica liberta’ sindacale e politica; la riforma sanitaria che rese l’ospedalizzazione pubblica; la scuola media dell’obbligo pubblica; con diritti economici: salario e pensione dignitosi; acquisto di una casa; possibilita’ di muoversi con un mezzo di locomozione proprio; e diritti civili: il divorzio, l’aborto, l’obiezione di coscienza. Tutto cio’ fu possibile – e Veltroni non puo’ non saperlo – per un’alleanza ‘tattica’ tra le forze di sinistra, in particolare i socialisti, con organizzazioni come le Acli di Livio Labor, la Fim-Cisl e poi la Cisl di Pierre Carniti, ed intellettuali come Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Carlo Donat Cattin, la cui ispirazione fu ‘il cattolicesimo sociale’. Stagione che degrado’ quando – e Veltroni non puo’ non spaerlo – quando quest’alleanza ‘tattica’ finalizzata al cambiamento delle condizioni di vita della gente, divenne ‘strategica’, organica funzionale solo e soltanto alla spartizione del potere e dei poteri. Degenerazione che divenne negli Ottanta vero e proprio ‘sistema’ con il pentapartito del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) spazzato via da Tangentopoli nell’inerzia e passivita’ totali di un enorme ‘capitale’ acquisito nel 1976 ma inutilizzato per il cambiamento che fu il ‘compromesso storico’. Un acuto intellettuale e testimone oculare di quei tempi andati a proposito del libro di Veltroni ha scritto su Repubblica: “[…] Ma ‘tutte’ le culture riformiste confuse producono cacofonia […] Il fatto e’ che su questo punto Veltroni schiva la Storia […] l’avversione dei comunisti e dei post comunisti oggi nei confronti dei riformismo ha portato ad una sequela di sconfitte […] l’attrazione prevalente da Berlinguer in avanti per la sinistra cattolica non ha portato i frutti sperati […] Solo un discorso che riparta dal principio e bonifichi il cammino ingannevole dell’odio anti-socialista puo’ tracciare per la sinistra italiana un futuro non destinato a permamenti e parziali autocritiche”. Si tratta di Mario Pirani le cui sottolineature possono essere condivise non soltanto da Epifani che viene da quella ‘Storia’ che Veltroni ha schivato, ma anche dai dirigenti del Pd, almeno da quelli che come Trentin aspirano a ‘morire socialisti’.



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