Andreotti esce di scena con la schiena diritta. Fu personaggio grottesco, surreale. L’Andreotti uomo, non lo conosciamo, ma forse non esiste tanto fu ingombrante il suo personaggio. Ha tutta la vita interpretato un ruolo. Un ruolo che fu istituzionale, politico e di governo. Un ruolo che, per interpretarlo al meglio, lo ha costretto a “inumanizzarsi”. E’ difficile pensarlo in una dimensione completamente reale che non sia quella avulsa dalla società, dai suoi collaboratori, dai suoi avversari politici. Non poteva che avere reazioni diverse da quelle che avrebbe potuto avere un qualunque altro individuo. E infatti, nell’immagine che ci restituisce il film di Sorrentino, quando Scotti, il Ministro dell’Interno, gli annuncia la morte di Salvo Lima, Andreotti non reagisce. E’ impassibile. Scotti rimane sconvolto. Andreotti dice più o meno così: “Le reazioni piene di emotività danno conforto. Perchè sono attese, sono convenzionali”. il Politico, il politico interpretato da Andreotti non può permetterselo. Lui è un agente chimico che pertecipa alle reazioni senza partecipargli attivamente. Deve solo assicurarsi che le cose accadano. Punto.
C’è una liturgia nel suo modo di intendere la gestione del potere. Ministro allora voleva dire custode di qualche cosa. E così era. E così veniva trasferito ai vari livelli. Dalle alte rote, via via verso quelle inferiori. Alla sua segretaria, ad esempio. Una missione, quella di lei, quella di decifrare il fenotipo, la gestualità, la fisiognomica del suo Signore. Con discrezione. Valori che possono sembrare collaboranti ad un certo modo di operare celato, ambiguo, opaco. Volutamente “occulto” per utilizzare un aggettivo deteriore. E che invece, nel loro risvolto dall’apparenza ambiguo, hanno il sospetto del buono. La distanza creata dalla discrezione è oggi valore. Perchè antitetica alla becera voglia de “tu” subito. Il fisico, la gobba, l’emicrania sembrano disegnare sul personaggio Andreotti il quadro che fu di Dorian Gray. La deformità del potere, del sistema da gestire. Un potere che non arricchisce, che non distribuisce privilegi, semmai favori. In un reticolo di clientele che volevano anche dire rapporto stretto e diretto col territorio. Strumento, egli stesso, di un sistema che è ingovernabile perché sommatoria di istinti, di meccanismi perversi che anche il più bravo manovratore finisce per subire.
Fu incrocio e bivio del potere. Scalfari cercò di incasellarlo, condannandolo a mezzo editoriale. Ma senza riuscirci. Una sentenza favorevole non riuscì ad assolverlo completamente. A riprova della complessità degli equilibri tra i poteri.
Andreotti, bivio e incrocio dei poteri dello Stato
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