L’allarme viene lanciato dalla Technology Review del Mit: il mantenimento della privacy nell’era di Internet e dei Big data sta diventando “algoritmicamente impossibile”. Con grandi opportunità per broker di dati che vendono le informazioni personali alle aziende per creare pubblicità mirate, ma anche il rischio di un’intollerabile invasione della privacy.
La moderna data science ha dimostrato che quasi tutti i dati messi su Internet (2,8 zettabyte nel 2012, e arriveremo a 40 nel 2020, secondo Idc) possono essere usati, come un’impronta digitale, per identificare la persona che li crea. Lo stesso vale per i segnali di posizionamento emessi dal telefono cellulare.
Queste informazioni sono già oggetto di compravendita grazie ai nuovi data broker, come Acxiom, che possiede una media di 1.500 informazioni ciascuno per oltre 500 milioni di consumatori nel mondo. Acxiom usa il mix di dati per inserire le persone in una delle sue 70 categorie chiamate “PersonicX”; ogni gruppo ha uno stile di vita diverso e quindi risponde diversamente alle sollecitazioni, per esempio ai messaggi promozionali dei brand. Secondo Forrester Research, le aziende americane già spendono più di 2 miliardi di dollari l’anno per acquistare queste informazioni dai data broker.
Le aziende di Internet sono ancora più evolute, perché effettuano la raccolta e l’analisi dei dati personali in modo automatizzato e in tempo reale. Facebook ha circa 111 megabyte di foto e video per ciascun utente, più altri diversi megabyte di messaggi di testo, MiPiace ecc. Il fatto che ora Facebook si sia alleata ad alcuni broker di dati tra cui Acxiom dà da pensare.
Sicuramente ci sta pensando la Federal Trade Commission americana che alla fine dello scorso anno ha formalmente richiesto a nove data broker di specificare le proprie pratiche commerciali e qualche giorno fa ha inviato lettere di avvertimento a dieci di queste società che non avrebbero rispettato le norme sul rispetto della privacy e le garanzie sulla vendita dei dati personali.