A Torino, da qualche tempo, non c’è luogo della città da cui non sia possibile ammirare il dispiegarsi nel cielo della Torre San Paolo, il primo grattacielo della città che appartiene all’Istituto di Credito omonimo.
L’edificio, fotocopia di quello che Renzo Piano ha realizzato per la sede del New York Times a New York, diventerà, una volta ultimato, la vetta più alta della città relegando il simbolo, la Mole Antonelliana, a ruolo di comprimario.
Le gru, altissime, che affiancano come le mani di un padre il figlioletto che si avventura nei primi passi le megacolonne del grattacielo, infondono, in tutta la città, un senso di grande operosità. Neanche di notte il lavoro pare fermarsi, le gru continuano ad attirare l’attenzione di chi fatica a dormire con il loro luccicare intermittente nel cielo.
L’avvio dei lavori della Torre fu osteggiato in città, come del resto qualsiasi “grande” opera nel litigioso condominio che è l’Italia.
A dirla tutta, senza voler prendere le parti di chi era a favore e di chi contro, la decisione di dare l’avvio ai lavori del grattacielo fu un caso che evidenziò la litigiosità all’interno del partito che governa la città. Un partito in cui coesistono due anime: quelle, belle e candide, che auspicano un modello di sviluppo basato su di un migliore e proficuo rapporto dell’uomo con la natura e con la propria terra e che deve passare attraverso la valorizzazione dei punti di forza che sono le tipicità enogastronomiche; quelle che si sentono altrettanto belle ma con maggiore fascino delle prime per vie di alcune rughe di sano realismo che le prime non hanno e secondo le quali lo sviluppo del territorio non può avvenire senza qualche sana colata di cemento e soprattutto qualche scavo, verticale o orizzontale che sia. Ecco.
Eppure entrambe queste anime si trovano d’accordo quando per muovere l’economia, come si dice nel prosaico gergo, si sceglie la strada dell’“evento”. Perché l’evento attira turisti e visitatori favorendo i profitti dell’industriale che produce e vende pane e salame da innaffiare con del buon vino della casa.
Gli eventi, però, che fanno felici i ristoratori fanno meno felici i camerieri. Coloro che, l’indomani, passata la sbornia mediatica che per un giorno ha fatto tutti un po’ protagonisti della storia, sono costretti a rimettere tutto a posto.
Oggi Torino si trova a dover mettere ancora ordine tavoli e sedie di quel grande circo che furono le Olimpiadi Invernali del 2006. Ci sono intere strutture edilizie di cui non si sa che farsene e che nel frattempo, essendo che il nostro paese ignora il concetto di “manutenzione”, sono avviate a un lento e fatiscente declino.
E poi ci sono le strade. Quelle che a Torino il luogo comune vuole diritte e perpendicolari, belle e larghe. Tutto vero, tutto giusto, a patto di considerare, oggi, anche la presenza di piccoli e grandi avvallamenti, d’irregolarità nella complanarità, talvolta la presenza di buche che, in certe vie un po’ secondarie e/o molto battute, diventano veri e propri fossi dentro i quali il veicolo finisce con lo sprofondare fino a circa metà del cerchione. Dinamica, questa, che si consuma in un istante in cui tutto il veicolo traballa sommando vibrazioni all’urto, in uno sgrullare di montanti, telaio e passeggeri del mezzo di locomozione che, a chi guarda dal marciapiede, pare il cane che dell’acqua il pelo vuole liberare.
Alcuni maliziosi, la vera iattura di questo paese, già sono lì che rumoreggiano, con il favore dell’anonimato, che così le automobili si rompono prima.
Quel che è certo è che, una volta si sarebbe detto “i pensionati”, oggi ci dobbiamo riferire al più includente “gli inoccupati”, ebbene gli inoccupati, che al mattino stazionano nelle vicinanze del cantiere della Torre San Paolo, tra Corso Vittorio e Corso Inghilterra, non sanno spesso come dividere il loro attentissimo spirito di osservazione. Ora va all’incessante brulicare degli operai attorno agli enormi elementi strutturali che evocano le piramidi egizie, ora va al tonfo di qualche sfortunato automobilista che non è riuscito a evitare il pertuso.