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Ecco quando (e come) l’Italia s’è persa

Michele Mezza, vice direttore di Rai International, ha scritto un libro importante nei contenuti quanto originale nella fruizione. Avevamo la luna (Donzelli) è un percorso, un viaggio, nello spazio e nel tempo,  nei sogni dell’innovazione italiana, reso possibile dalla rete che rende la carta un dispositivo digitale multimediale. Grazie ai QR code, i codici a barre di seconda generazione, disseminati lungo tutto il volume, il lettore non solo segue il ragionamento sulla  grande occasione mancata del 1963, ma può avere pieno e contemporaneo controllo dei documenti  e dei filmati citati, grazie ad uno smartphone. Inoltre potrà anche vedere  le interviste filmate e i commenti che accompagnano il libro da parte di opinione leaders come Giuseppe De Rita, monsignor Luigi Bettazzi, Elserino Piol, Antonio Pizzinato, Alfredo Reichlin, Paolo Sorbi, Francesco Cuozzo, e altri ancora.

Mezza proprio due parole in avvio per dare un’identità a questo libro che presenta varie particolarità, se non proprio vere eccentricità?

Avevamo la luna è un percorso, un viaggio, nello spazio e nel tempo,  nei sogni dell’innovazione italiana,reso possibile dalla rete che rende la carta un dispositivo digitale multimediale .Grazie ai QR code, i codici a barre di seconda generazione, disseminati lungo tutto il volume, il lettore non solo segue il ragionamento sulla  grande occasione mancata del 1963, ma può avere pieno e contemporaneo controllo dei documenti  e dei filmati citati, grazie ad uno smartphone. Inoltre potrà anche vedere  le intervistew filmate e i commenti che accompagnano il libro da parte di Opinione Leaders come Giuseppe De Rita, mons Luigi bettazzi, Elserino Piol, Antonio Pizzinato, Alfredo Reichlin, Paolo Sorbi, Francesco Cuozzo, e altri ancora.

Il libro inizia con una scheda di istruzioni per l’uso.Cosa significa?

Significa che è un libro  complesso, che tende ad assomigliare ad un meccanismo, ad una vera piattaforma digitale. Infatti  nelle sue pagine , sui margini  laterali, esattamente come si usava all’inizio della stampa con i caratteri mobili, ci sono dei codici a barre di seconda generazione, i cosidetti QR code. Sono dei quadratini di meno di un centimetro di lato a scacchi, che ormai siamo abituati a vedere sulle riviste occasionalmente.  Collocati sulle pagine di un libro, sui margini  di destra della pagina, come si usava  per le note nei primi libri stampati con i caratteri mobili, permettono ad un qualsiasi smarphone di  vedere filmati o fotografie, di di rintracciare documenti citati nel testo. La carta diventa così un supporto multimediale, uno straordinario dispositivo, flessibile, leggero e maneggevole, ricco di segnali e di video. Istruttiva in questa direzione è l’intervento dell’architetto Stefano panunzi che conduce una vera esercitazione multimediale sul libro digitale.

Mi sta dicendo che il libro tradizionale può rilanciare la sfida agli e book?

Esattamente. Credo che come tutta la dinamica dell’innovazione, anche per il libro, noi più che assistere ad una discontinuità, ad una rottura, siamo parte di un grande ritorno, come diceva Edgar Morin, al recupero di modelli, comportamenti e culture che sono da sempre nella nostra memoria. Il  libro vive anch’esso questo grande ritorno. Dopo aver trionfato per cinque secoli, superando il modello di lettura pubblica, ad alta voce,collettiva, tipico della pergamena, ed aver imposto un modello individuale, intimista, psicologico, a bassa voce, come è  la lettura  della pagina stampata, ora si torna ad un modello più comunitario. I QR copde infatti spingono ogni lettore su singoli siti dove si partecipa a discussioni o a commenti, e si rompe l’isolamento della lettura individuale e separata, come comunque l’ebook ancora comporta. >>Diciamo che la carta potrebbe prendersi una sonora rivincita.

Chiudiamo la serie delle curiosità di  struttura ,con i forum. Leggo proprio sull’ultima pagina del libro: il libro continua su www.avevamolaluna.it

Anche qui una semplice costatazione: un libro che si appoggia ad un sito, e che propone al lettore il controllo diretto delle fonti, non può certo arroccarsi nella forma finita della pagina stampata, ma deve accettare la sfida tipica del web: siamo alla pari, lettori e autori. Dunque il libro continua, con ogni capitolo che diventa un forum aperto ai lettori che possono intervenire, direi interferire, con il libro aggiungendo, commentando, contestando magari, il ragionamento iniziale. Tanto più che il libro, che inizialmente pensavo si dovesse occupare di un processo lungo della storia, come appunto il rapporto fra cultura politica e innovazione,ha preso improvvisamente velocità e mi ha costretto ad inseguire la contigenza, per la parte riferita al capitolo sul mondo cattolico, con le convulsioni che si sono scatenate con le dimissioni di Papa Bendetto e il colpo a sorpresa di Papa Francesco. Lo stesso per il capitolo politico con un esito delle elezioni ancora indeterminato e un governo che non c’è. Tutto questo spinge a continuare a scrivere e discutere i temi del libro.

Arriviamo allora a bomba sul contenuto, a cominciare da questa sfavillante copertina, dove giganteggia il viso solare dell’esuberante Gasmann del Sorpasso

La copertina è un colpo d’ala dell’editore, di Carmine Donzelli. E anche questa copertina, che è subentrata, come sempre, in corso d’opera, mi ha costretto ad inseguire con un testo che inizialmente ignorava la centralità del film di Risi in quegli anni. Invece Il Sorpasso   è  il film paradigmatico di quell’Italia altalenante fra il tratto  prepotente di  Bruno Cortona, straordinariamente impersonato da un Gasman  gaglioffo  e seducente, e la tragica maschera  del giovane intellettuale che muore,il timido e inesperto studente Roberto Mariani, al quale Trintignant offre un’inimitabile recitazione. Una copertina che parla con la foto di Gasmann e con il filmato di Papa Giovanni     che pronuncia il suo leggendario discorso alla luna dell’11 ottobre del 1962 che si vede con il QR code che apre il libro.

In copertina si sparano tre paragoni  forti

Da papa Giovanni XXIII a Papa Francesco, da Olivetti a Marchionne, da Moro a Grillo. Diciamo che il terzo è quello , nella sua paradossalità, da la misura di cosa sia accaduto in Italia in questi 50 ultimi anni. Gli altri due danno invece il senso di come la comunità cattolica e il mondo industriale abbia trovato una propria risposta ai segni dei temi: Marchionne non è il principe dell’inno0vazione ma è sicuramente uno stratega che  ha imboccato una sua strada per uscire dalla crisi. Il fatto che questa strada diverga da quella del sistema Italia è un’altra storia. Mentre il colpo ad effetto di Papa Francesco mostra come  una grande tradizione, come quella del mondo cattolico, abbia intercettato e rielaborato  le trasformazioni digitali. Con uno slogan che mutuo dallo staff di Obama possiamo dire che anche la chiesa  condivide la linea per cui ad un network si può rispondere solo con un network. Papa Francesco è un linguaggio  che coglie e rielabora la spinta partecipativa che la rete canalizza e  organizza. Mentre il mondo politico assiste shoccato e impotente al passaggio da Moro a Grillo: ossia dal sistema dei partiti tradizionali, che in qualche modo rimane legato all’esperienza del dopo guerra,ad una nuova dinamica che travolge gli apparati e mette in prima linea  quella che Castells chiama l’autocomunicazione di massa.

Rispetto a questo passaggio il libro come affronta questa difficoltà?

Io non sono certo uno storico, e lo dico subito .Sono un giornalista che si è trovato ad occuparsi di sistemi tecnologici, proprio perchè voleva fare il giornalista. Lungo questo percorso, dai contenuti alle forme della comunicazione, mi sono imbattuto più volte in un buco nero che a mio parere sta ingoiando il sistema politico: l’incomprensione del sistema digitale.Diciamo che il libro affronta proprio questo tema: il rapporto fra politica e innovazione. Individuando nel tirennio 1962/1964 l’epicentro del fenomeno, l’oriogine della crisi attuale. In quei tre anni infatti l’Italia sfiorò un vero mini rinascimento: eravamo la prima potenza informatica europea, il primo paese , dopo  i giganti sovietici e americani, a lanciare satelliti nello sdpazio, il paese che avviava la sperimentazione elettronucleare.E poi c’era la geopolitica dell’Eni che ci metteva in concorrenza con le sette sorelle. In 40 mesi tutto ci viene scippato: Mattei muore come sappiamo, la divisione elettronica dell?Olivetti viene svenduta alla General Elettric, e Ippolito, il capo del CNEL, l’ente per l’industrializzazione del nucleare viene coinvolto  avventurosamente in uno scandalo.Insomma, come dice De Rita nell’intervista che  chiude il primo capitolo il nostro allora comincia ad essere un “paese eterodiretto” E continua ad esserlo fino ad oggi. Diciamo che l’attuale contesto politico istituzionale è forse la dimostrazione più spettacolare della tesi del libro: la politica non afferra il senso dell’innovazione e rimane paralizzata sotto la sua pressione.

E in questo contesto l’innovazione sarebbe Grillo?

Diciamo che Grillo è  la bandiera dell’innovazione ma non il suo contenuto. Nel libro  mi cimento anche in un’analisi proprio del rapporto fra il movimento 5 stelle e la rete. E  giungo alla conclusione che si tratta di un uso ancora tutto strumentale, top down, dove il senso del social network che è l’ascolto più che il parlare, non si riflette.

Siamo ad un altro abbaglio delle rivoluzioni digitali, come per le primavere arabe? 

Tutt’altro: La rete è una talpa che scava sotto i nostri piedi e profila nuove figure professionali. Questo è il vero motore del cambiamento, esattamente come poer le primavere arabe: Internet come fabbrica e non come megafono. La rete, esattemente come la fabbrica fordista un secolo fa, è uno straordinario frullatore che scompone e ricompone i profili della società, di cui le forme della comunicazione sono solo uno degli aspetti, forse il più spettacolare ma non il più rilevante.

Nel libro c’è un capitolo dedicato proprio alla sinistra .E in particolare ad un episodio del 1962, il convegno dell’Istituto Gramsci sul neo capitalismo. 

Nel mio tentativo di capire dove si è perso il bandolo della matassa quel passaggio è fondamentale. In quel convegno per la prima, e purtroppo unica volta, la sinistra italiana, segnatamente la cultura comunista, guardò ad ovest invece che ad est, e riuscì a decifrare lucidamente il nuovo processo di superamento della fabbrica come motore sociale che proprio in quei mesi si stava delineando. La relazione di Bruno Trentin è ancora oggi uno straordinario esempio di analisi sociale complessiva. Trentin , reduce allora da anni di studio negli USA, usò la sociologia americana, assolutamente bandita dalla cassetta degli attrezzi comunista, per mettere a fuoco la nuova realtà del terziario industriale,dove emergeva figure come i manager e i tecnici che non erano piattamente riconducibili alla meccanica del conflitto capitale-lavoro.. Lucidissimo anche l’intervento di un giovanissimo Lucio Magri che spiegò come il consumo cominciava ad essere una categoria vfondamentale anche per la classe operaia. Poi tutto si chiuse e non se ne parlò più.

 Nel libro si spiega questa chiusura con  il cosidetto  “autismo degli innovatori”

Per autismo degli innovatori intendo l’incapacità di coloro che in quegli anni, dal 62 al 64 , rappresentarono le aperture profetiche del sistema italiano a parlarsi e collaborare: Olivetti non parlava con Mattei, I riformatori del PCI non si occupavano dell’Olivetti, I teorici del modernismo cattolico non poarlavano con la sinistra. E nessuno trovava sponde e interlocutori, rimanendo vittima dei rispettivi conservatori.

Ma chi furono allora i conservatori?

Basta guardare i documenti dell’epoca: la Fiat di Velletta  che con l’aiuto di Bruno Visentin liquidò le ambizioni informatiche dell’Olivetti, l’establishment del PCI che non colse l’opportunità del rinascimento Olivettiano ne del centro sinistra.La DC che si limitava a controllare le esuberanze delle richieste socialiste. Insomma gli apparati dell’economia e dei partiti.

Già la polemica contro i partiti?

Segnalo questa citazione: I sistemi congegnati e intrapresi dagli uomini della politica vorrebbero risanare la situazione e trovare la soluzione dall’alto, attraverso  la macchina della burocrazia centrale, la penombra delle commissioni, e la potenza occulta degli apparati di partito. Non è Gianroberto Casaleggio, ma Adriano Olivetti nel 1959. Il punto è capire come mai chiunque si occupi di relazioni digitali, a tutte le latitudini, da Olivetti a Casaleggio a Steve Jobs matura nei confronti della politica una reazione di insofferenza. E’ un problema perchè oggi le relazioni digitali sono il fenomeno più diffuso e pervasivo. Se la politica non si misura con questo tema credo che non ne usciremo bene dal tornante di oggi.

 

 



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