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Epifani ultima chance sinistra: nel socialismo europeo o ai margini

ll riformista Guglielmo Epifani è l’ultima chanche per il Partito Democratico – e più in generale per la sinistra frammentata – di ‘vivere’ stando nel socialismo europeo, in vista del cruciale appuntamento delle elezioni europee del 2014.

Tra un anno o si consolida l’attuale ‘dittatura finanziaria’ neoliberista oppure, come auspicabile, si avvia il processo di costruzione delle ‘società progressiste’ come si è prefisso il Partito Socialista Europeo nella Convention progressiste del 25 novembre 2011.

Insomma o la sinistra italiana ‘vive’ stando nel socialismo europeo o resta ai margini ad esercitarsi, come pura testimonianza, in convegni sterili e manifestazioni di piazza per urlare alla luna.

Pertanto, non sarebbe un dramma nè uno scandalo se il leader del Pd Epifani non dovesse essere presente alla manifestazione di domani della Fiom e dei suoi supporter intellettuali, a difesa dello Statuto dei Lavoratori, della priorità del lavoro e della “dignità del lavoro”. Epifani viene dalla nobile ‘scuola di cultura’ sindacale e politica (da Giuseppe Di Vittorio a Fernando Santi, da Vittorio Foa a BrunoI Trentin) che fece del lavoro il punto clou della sua azione, che fece del Piano del Lavoro, “il piano della vita” fino a proporre il lavoro come ‘variabile indipendente’ da cui tutte le altre variabili economiche avrebbero dovuto dipendere. Che diede forma e sostanza alla “dignità del lavoro” con la legge di civilta’ n. 300 del 1970, lo Statuto dei Lavoratori, costruito dal giuslavorista riformista Gino Giugni, sul quale pero’ l’ex-Pci si astenne perchè lo ritenne troppo favorevole agli imprenditori.

Non è, quindi, del tutto esatto quel che, in proposito, ha sostenuto Stefano Rodotà, ossia che lo Statuto c’è grazie all’autunno caldo e alla svolta del sindacato. C’è perchè, insieme alla straordinaria spinta dal basso, diretta dai leader dell’ex-Flm Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto, ci sono stati uomini di cultura sensibili come Giacomo Brodolini che hanno tradotto quella spinta in legge dello Stato.

Non solo, ma quella nobile ‘scuola di cultura’ sindacale e politica seppe ogni volta trovare le soluzioni possibili alle vertenze più difficili e complicate, come la vertenza dei ’35 giorni’ alla Fiat del 1980 conclusasi, purtroppo, dopo l’intervento di Enrico Berlinguer ai cancelli di Mirafiori, con ‘la marcia dei 40 mila’ che segnò la bruciante sconfitta del sindacato.

Maurizio Landini, bravo sindacalista della ‘scuola sandista’ di Claudio Sabbatini, il capo fila dei contestatori ad oltranza di ipotesi di accordo, sconfitto insieme a Fausto Bertinotti, alla Fiat, non ha nulla, in tal senso, da insegnare al riformista Epifani.

In molti, forse, si sono dimenticati del bel dialogo tra “un vecchio organizzatore sindacale”, Foa e il giovane leader della Cgil, ‘Cent’anni dopo’. Il sindacato dopo il sindacato’, la cui questione centrale è il lavoro e la sua dignità nella nostra società.

Recentemente Alfredo Reichlin a proposito del nodo irrisolto dell’identità che servirebbe al Pd ha osservato, “[…] evidentemente una identità che non rinneghi ma rinnovi il nostro essere una forza riformista e di governo […] se il Pd non ha decollato […] è perchè non abbiamo un ‘pensiero politico’ all’altezza di questo sistema-mondo […] il riformismo funziona in quanto presuppone una democrazia che decide”.

Chissà che non possa ripetersi quanto avvenuto in Svezia nel Sap – il Partito Socialdemocratico di centro-sinistra – qualche settimana fa, alla cui guida è stato eletto Stefan Löfven: per la prima volta un leader sindacale e’ passato direttamente alla guida del partito.

Ciò non per ripiegare nella tradizione, ma perchè è evidente anche in Svezia che, in ogni fase di profondo rinnovamento, rappresentare ‘il lavoro’ rimane assolutamente centrale. Tanto più se occorre riorganizzare e ri-vitalizzare un partito che, dopo avere cambiato solo cinque leaders in oltre un secolo, ultimamente aveva avuto alla sua testa personaggi di basso spessore culturale. Urgeva in Svezia ed urge in Italia per il Pd disporre di una leadership autorevole e di un progetto culturale ‘credibile affidabile e praticabile’ di società in vista della cruciale sfida delle elezioni europee del 2014 con le forze centriste e conservatrici neoliberiste.


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