L’accordo Alenia Aermacchi-Lockheed Martin, del valore di 141 milioni di dollari, è una buona notizia per l’economia italiana. Il programma è quello dell’F-35, di cui il contratto in oggetto dovrebbe fornire alcune componenti avioniche.
Un successo italiano
Ciclicamente oggetto di inchieste e retroscena, oltre che di polemiche politico-elettorali, il caccia multiruolo di quinta generazione “Lightning II” è l’oggetto del desiderio di molte forze aeree avanzate. Il gigante Lockheed Martin vorrebbe farne un vero e proprio standard per un futuro prossimo in cui dovrà confrontarsi con le controproposte russe e cinesi. Giappone, Gran Bretagna, Australia ed Israele (Paesi con cui possiamo tranquillamente paragonarci in termini di rilevanza geopolitica) già aderiscono all’F-35. Non si tratta dunque di comprare, tanto meno a scatola chiusa, un prodotto americano, ma di partecipare con uno sforzo industriale significativo alla realizzazione di una piattaforma che per il momento premia gli interessi di gruppi e distretti aerospaziali italiani disseminati dalla Lombardia alla Puglia, dal Lazio alla Campania. Rinunciare ad un impulso di questo genere al nostro Pil non sarebbe dunque comprensibile.
Riforma come occasione per ripartire
Andrebbe dunque sgombrato il campo dall’idea che il progetto sia frutto di un’ambizione militare non commisurata alla capacità industriale del Paese. Le forze armate sono certo interessate all’ampliamento delle capacità aerospaziali promesso dall’F-35, ma intendono farlo nell’ambito di una difesa nazionale più efficace e snella. Dunque, anche accettando pesanti tagli, purché realizzati in ambito europeo. Ovvero, non nazione per nazione, attenti solo alla contabilità del singolo Stato membro, ma programmando e ristrutturando assieme, in modo che siano messe in luce le specificità della nostra base industriale. Quest’ultima, va detto, si è sempre caratterizzata per una forte concentrazione nei settori più avanzati dell’avionica e dell’elettronica, da una parte, e per un collegamento ormai stabile e organico con il mercato nordamericano dall’altra. Frustrare queste due coordinate, inseguendo magari le ultime mode eurodepressive, è controproducente non tanto per l’Italia in stellette, ma per il tessuto produttivo del Paese.
Asse Ue-Nato premiante per l’industria
Il neoministro Mario Mauro ha già espresso la necessità di una riforma che non sia un disarmo, e che conservi dunque all’Italia una presenza di punta nei progetti e nelle piattaforme decisive per lo sviluppo di capacità adeguate al nuovo ambiente strategico. È un’opzione da cui non si discosta la Francia di Hollande, il cui ultimo Libro bianco sulla difesa è rivelatore non tanto di sentimenti pacifisti quanto di una determinazione formidabile a mantenere l’Esagono dentro il quadro euro-atlantico. Giudicato evidentemente, anche Oltralpe, come il più consono e funzionale agli interessi della base industriale-militare.