E la Fiat se ne va. E’ Bloomberg a lanciare il sasso nello stagno: la sede mondiale di Fiat/Chrysler sarà a Detroit, non al Lingotto. Ad anticiparlo è L. Brooke Patterson, top executive della Oakland County, titolo che fa molto più effetto che direttore generale della provincia di Torino.
Da quelle parti Lee Iacocca volle creare il mostro di Auburn Hills, l’agglomerato di uffici più grosso degli States dopo il Pentagono, per celebrare i fasti della sua Chrysler. Sembrava, anzi, era una follia quando la più piccola delle grandi di Detrot sembrava destinata alla chiusura. Oggi rischia di rivelarsi un grosso affare per una città che, nonostante il recupero dei grandi dell’auto, non trova ancora i soldi per pagare i poliziotti in divesi suburbs. Ma non a Birmingham, il quartiere residenziale in cui Sergio Marchionne ha comprato casa, cosa che non ha mai fatto a Torino.
Non è certo per questi motivi che Marchionne, che tace, intende far rotta verso gli Usa. La nuova Fiat/Chrysler (che cambierà nome…) ha mille e una ragione per far rotta verso gli States dopo che il gruppo (ancora) italiano troverà l’accordo sul prezzo per le azioni in mano al sindacato Uaw.
La sede legale del gruppo, tanto per cominciare, sarà probabilmente in Delaware, lo Stato dell’Unione dal fisco leggero che offre molti altri vantaggi. Non ultimo la possibilità di ammettere numerose categorie di azioni, con diversi diritti di voto. Cosa che consentirà ad Exor di controllare il board con un percentuale di capitale ben inferiore alla quota attuale in Fiat e a Detroit.
Ipo a Wall Street
La Borsa principale non potrà che essere Wall Street, dove tra l’altro Gm gode di multipli ben più elevati di quelli che Fiat spunta a Piazza Affari. Senza dimenticare i vantaggi di esser domiciliati a due passi dal mondo degli analisti che contano.
L’aspetto fiscale
Ancor più importante, una società con il passaporto Usa spunta tassi di mercato assai più allettanti che un’azienda italiana. Un po’ come capita alla greca Fage, solida multinazionale dello yogurt che ha dovuto indossare la maglia del Lussemburgo per evitare di pagare interessi da usura.
Il tema politico
Infine, una considerazione politica. Al di là di qualche editoriale addolorato ma non troppo (il Corriere della Sera più di tanto non può scrivere, al pari della Stampa o del Sole 24 Ore, ossequiente nonostante lo strappo di Fiat da Confindustria), il gruppo Agnelli sa che potrà consentirsi quello strappo che Parigi non consentirebbe mai alla famiglia Peugeot, la Germania ai Quandt o a Ferdinand Piech, il Giappone al signor Toyota.
La politica è troppo debole per poter chiedere od offrire qualcosa al gruppo. Il sindacato è in altre faccende affaccendato. Federico Bellomo della Fiom dichiara al Bloomberg che “il problema più importante è far rientrare in fabbrica gli operai in cassa”. La Fiat, se e quando ne avrà convenienza, lo farà.
Ma, anche perché nessuno glielo chiederà, non prenderà impegni in materia di innovazione, sedi della Ricerca e sviluppo, rapporti con le università e tutto quanto può far la differenza tra una sede di assemblaggio e un centro propulsore della tecnologia. Fa impressione, a proposito, scoprire che gli investitori Usa scovano a Pinerolo un’azienda meccanica high tech per sviluppare produzioni 3D mentre la Fiat litiga a Torino con l’indotto per i manicotti in gomma.
Non stupisce e non scandalizza la scelta di far rotta verso gli Usa. Anzi, lunga vita al manager che ha salvato un’azienda decotta e quel che resta del portafoglio degli italiani che molti avrebbero voluto usare per un intervento all’Alitalia (moltiplicato cinquanta). Ma tra il capitalismo di bandiera, una malintesa nostalgia di politica industriale e la capacità di contrattare una presenza industriale al passo con i tempi, salvaguardando una delle poche eccellenze italiane, ce ne corre.
Il futuro di Fiat in Italia
Si può capire la scelta, non facile, di John Philipp Elkan e del resto della famiglia. Ma un conto è scegliere, per il bene della Fiat, il futuro industriale più efficiente e saggio. Tutt’altro conto è limitare la presenza a Torino all’impegno nella Juventus e poco più: i Wallemberg, una volta ceduto il controllo dei giganti industriali di Svezia, hanno investito nell’intelligenza e nelle start up scandinave. Speriamo che Exor sappia compensare la città per il sacrificio.