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Per un nuovo terzo settore. Consigli non richiesti al ministro Giovannini

Il progetto di studio, formazione e ricerca azione “Welfare 2020” è frutto della collaborazione tra Fondazione Roma e Centre for the Anthropology of Religion and Cultural Change (ARC) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e si è posto come obiettivo quello di riflettere sul futuro dei sistemi italiani di protezione sociale, utilizzando come “laboratorio di riflessione” il sistema di welfare laziale e alcune esperienze locali.

Un nuovo terzo settore

È finito il tempo della esternalizzazione spinta da parte della pubblica amministrazione, che ha avuto il suo apice negli anni ’90 del secolo scorso e che è stata una delle leve dell’esplosione del terzo settore nel mercato dei servizi alla persona, portando il non profit e, segnatamente, la cooperazione sociale a dare un contributo importante, per certi aspetti decisivo, allo sviluppo e alla diffusione del sistema di welfare territoriale in Italia.

Ora, ciò che è stata la causa di un’evoluzione, non mantiene più alcuna ‘tensione’ ed anzi rischia di essere motivo di un’impasse per il sistema di welfare nel suo complesso. Da una parte la pubblica amministrazione esternalizza sempre meno (per le scarse risorse a disposizione) e, di converso, dall’altra parte il terzo settore è chiamato nel suo complesso ad una nuova stagione, più matura, in cui articolare e declinare in termini compiuti la propria visione, con risorse proprie.

La logica è quella della public company, in grado di garantire tre cose: un prezzo equo delle prestazioni, una rete di senso territoriale, interventi non solo specialistici ma anche ‘sociali’. In altri termini, è una logica che mette insieme comunità di cura e comunità operosa: si parte dalla cooperativa sociale, si allarga al volontariato.

Togliersi dalla dipendenza della Pa e al contempo aprirsi all’innovazione di prodotto è possibile ad una condizione. Quella di affrontare una grande questione che prima ancora che istituzionale ed imprenditoriale è culturale: la dicotomia privato-pubblico.

Politiche domiciliari per la non autosufficienza

Qualsiasi tipo di dato demografico proiettato a vent’anni ci conferma l’urgenza di un piano organico per la domiciliarità, su base territoriale, in grado di corrispondere alla espansione delle necessità e dei bisogni, sul fronte socio sanitario, riguardanti le persone sul limite della non autosufficienza.

Conciliazione e welfare

È un elemento che sempre più si configura come un’opportunità per modernizzare l’impianto di welfare, in connessione con le ipotesi di ricalibratura del sistema tradizionale di protezione sociale. Le attività da promuovere sono la connessione tra i servizi educativi, assistenziali e sanitari del territorio e le aziende, per informare queste ultime del sistema d’offerta territoriale (e quindi facilitarne l’accesso ai dipendenti) e valutare forme di integrazione con i sistemi di welfare contrattuale e, più in generale, welfare aziendale esistenti.

Sostegno all’autorganizzazione dei cittadini

È il potenziale espresso nelle nostre comunità sul fronte dell’associazionismo e, più in generale, del cosiddetto terzo settore, che consente di considerare possibile la promozione di forme di intervento in ambito sociale che siano caratterizzate da una forte matrice comunitaria, in grado di esprimere relazioni, prossimità, legami, in altri termini capitale sociale. L’approdo auspicato è lo sviluppo di un modello di welfare comunitario e innovativo.

L’orizzonte dei beni di comunità

Per garantire questo percorso di innovazione, occorre ridisegnare il baricentro del sistema e collocarlo nelle comunità locali; creando luoghi, forme, strategie, azioni in cui alcune mediazioni vengano fatte da soggetti aggreganti capaci di rilanciare una dimensione pubblica territoriale. Questo significa modificare radicalmente l’assetto attuale, pensandosi all’interno di una fase istituente, non solo di riforma e/o di aggiustamento. Ne discende l’impegno per creare istituzioni nuove, capaci di ristabilire attenzioni antiche quali la mutualità e la solidarietà e in grado di passare da una logica della prestazione e della moneta (tipica del welfare novecentesco) ad una logica del legame sociale.

Mauro Magatti
Professore ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica del S. Cuore e direttore del centro di ricerca ARC – Centre Anthroplogy of Religion and Cultural Change

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