Su questo uomo si è detto di tutto, nel bene e nel male, forse più in male. Come disse lo stesso Andreotti: “A parte le guerre puniche, mi hanno accusato di tutto”. Le ombre sui rapporti con la mafia, l’accusa confermata di “contatti” almeno fino agli anni ’80 con Cosanostra, il suo ruolo in eventi drammatici della vita del Paese. Il tutto ben rappresentato dal capolavoro cinematografico di Paolo Sorrentino. “IL DIVO”, che ci ha offerto un profilo affascinante e ironico, quasi grottesco, di uno dei protagonisti indiscussi della storia della Repubblica Italiana. Una personalità unica nel panorama politico nazionale e internazionale con cui non è possibile non confrontarsi.
Il film di Sorrentino si apre con un piccolo monologo ironico e sprezzante dell’interprete di Andreotti:
A questa presentazione segue una lista di fatti di cronaca nera che hanno accompagnato la storia d’Italia dagli anni Sessanta in poi: l’attentato al Generale Dalla Chiesa e al Giudice Falcone, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, la morte dei banchieri Calvi e Sindona. Insomma, l’ironia si mescola del personaggio viene mescolata con i fatti più cruenti della nostra storia.
Da questa prima rappresentazioni mi sembra di cogliere l’idea della sua indistruttibilità, del suo essere “eterno”: tutto passa, Andreotti resta. È stato ben sette volte presidente del consiglio e diciannove volte ministro di vari altri governi. Un ponte tra Roma e Vaticano, amico di molti Pontefici, da Pio XII a Giovanni Paolo II. Eppure non era così “vecchio”, 94 anni sono molti, ma c’è chi ha fatto di più. Rita Levi Montalcini è morta a 103 anni, altra storia, altra vita, altra importanza.
Andreotti è un personaggio inquietante, per usare le parole di Eugenio Scalfari, perché è stato “indecifrabile” un mistero assoluto. Le accusse che gli sono state mosse negli ultimi sessant’anni lo rendono, come ebbe a dire Indro Montanelli (come riportato anche nel film), o il criminale più scaltro che sia mai esistito, o il più grande perseguitato della storia d’Italia, accusato di ogni problema e dramma del Paese dal dopoguerra in poi. Sarà così? Difficile a dirsi. Dopotutto, come ha ricordato Giancarlo Caselli, il suo grande “accusatore” almeno fino al 1980 è stata provata la sua vicinanza a Cosanostra. La sentenza conferma questo fatto, ma il reato contestato è caduto in prescrizione. Quindi non c’è assoluzione, né parziale né a formula piena, il reato è provato, ma la pena non applicata. Dal 1980 in poi, non è stato verificato niente altro. Insomma, una gravissima ombra sulla vita di un uomo politico, di un uomo dello Stato.
Di Andreotti si possono dire quindi infinità di cose e fare infinte congetture. La storia ha già in parte parlato, e credo ci sia tempo e modo di parlarne ancora. Non si può non riconoscere, come ha detto Eugenio Scalfari, che egli era “una grandissima intelligenza politica” e tuttavia “un uomo chiacchierato in tutti i principali scandali della Repubblica” pertanto “Andreotti rimane una verità non accertata fino in fondo“.
Sul web sono girate numerose vignette che ironizzavano sulle conseguenze della morte di Giulio Andreotti, ma al di là delle facili ironie, sarà necessario che qualche studioso si prenda l’incarico (scomodo) di analizzare questo personaggio dal punto di vista politico e storico, perché una maggiore comprensione della vita politica di Giulio Andreotti aprirà, senza dubbio, una finestra sulle vicende del passato del Paese intero.
Chi avrà la volontà e la capacità per un simile lavoro?