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Vi spiego che cosa manca nella proposta di Hollande sull’unione politica dell’Europa

Dopo la pubblicazione su Limes dell’Appello per una riforma delle istituzioni europee è accaduto quello che ormai è il cruccio di ogni analista: le vicende corrono più delle diagnosi che si avanzano su di esse ed è un inseguimento perenne.

Il frastuono quasi universale del “vogliamo sviluppo e occupazione” (inevitabile codicillo per quella giovanile…) da un’Europa paralizzata da istituzioni e da politiche statiche è andata emergendo (anche tra alcuni firmatari dell’Appello) l’idea che non bastasse ciò che avevamo chiesto e che occorresse fare il passo mancante, ossia l’unificazione politica.

Nel nostro documento questa posizione era stata espressa in modo troppo timido, ancorché presente, quando avevamo proposto che il Parlamento europeo decidesse quali obiettivi perseguire e si desse un budget per raggiungerli, uscendo dalle umilianti negoziazioni tra Stati per fissare gli uni (obiettivi) e l’altro (budget). Ciò per una valutazione pragmatica, nel caso specifico infondata, che l’unione politica non potesse passare e andasse approssimata muovendo qualche passo in avanti e non che essa fosse presupposto per sbloccare questa situazione drammatica.

Il presidente francese Hollande pare averlo capito e ha sorpreso tutti proponendo di raggiungere l’unione politica entro due anni. Invero un drappello dei firmatari dell’Appello, sollecitati dalla mente sempre lucida e incisiva di Giuseppe Guarino, aveva visto proprio nei francesi, nonostante si fossero macchiati della bocciatura della costituzione europea proposta da Giscard d’Estaing e Giuliano Amato, i più interessati a proporre, insieme agli italiani, una siffatta soluzione della crisi europea.

Per il successo dell’iniziativa di Hollande pesa contro la dichiarazione che l’asse franco-tedesco è da parte loro irrinunciabile, il che significa che non se ne farà nulla o che sarà possibile solo addentrandosi con le istituzioni esistenti, imperfette, nella politica di rigore fiscale e di vincoli monetari, deflazionistica, imposta dai tedeschi e passivamente condivisa dagli altri. Si possono ottenere solo piccole concessioni, come quelle ottenute dalla Francia e Spagna di un tempo più lungo per rientrare nei parametri del deficit di bilancio pubblico, ma la natura deflazionistica della politica non cambia.

Ciò che manca alla giusta proposta di Hollande è dire che l’unificazione politica, come Ciampi e altri continuano a ripetere, è stata sempre l’obiettivo verso cui doveva tendere l’unificazione economica e, soprattutto quella monetaria, dell’Europa. I più corretti sono stati gli inglesi che hanno sempre ripetuto che non volevano l’unione politica e, quindi, se non cambiano idea, staranno fuori da un ipotetico, ma auspicabile, accordo di unificazione politica.

Ed è questo il punto: la proposta di Hollande richiede d’essere precisata con l’affermazione che all’unione politica, l’unica che rende irreversibile l’euro e protegge l’ideale di un’Europa unita, i paesi sono liberi di partecipare o stare fuori. Parteciperà chi condivide i valori unificanti dell’Ue e ritiene che sia l’unica strada, pur faticosa, per uscire dall’attuale situazione di caduta del Pil e dell’occupazione; e starà fuori chi è convinto d’essere superiore culturalmente ed economicamente ai Paesi che si trovano attualmente in difficoltà, mostrando cecità sul loro futuro, perché prima o dopo anch’essi verranno toccati dalla crisi, sia interna europea, sia internazionale, queste a causa delle politiche condotte all’Ovest e all’Est alle quali l’Europa non bada e per le quali si richiederebbe ancor più un’unicità decisionale europea per essere fronteggiate. In un recente incontro il prof. Curt Hunter, già vice presidente della Fed di Chicago e illustre studioso di contratti derivati, ha affermato che il mondo va preparando scientificamente la “tempesta finanziaria perfetta”.

La mia valutazione è che la Germania, che ha visione e concretezza nelle sue scelte politiche, entrerà nell’unione politica, se non vuole assistere alla rivalutazione della sua moneta e alla retrocessione della sua economia, ossia se non vuole rinunciare ai vantaggi che trae dall’attuale Unione Monetaria ed Economica. Ma aderirebbe all’Ue politica in condizioni di parità con gli altri e non egemoniche come quelle che attualmente esercita con il beneplacito della Commissione e per gli accordi europei in essere e per la passività o il consenso dei paesi membri.

La Francia avrebbe una funzione leader per la sua solidità geopolitica (ivi inclusa la deterrenza nucleare) e amministrativa interna ma, se l’Italia diviene agente proponente e attivo del rilancio della proposta della nascita di un nocciolo duro dell’unificazione politica, anch’essa acquisirebbe quel prestigio internazionale che oggi ritiene di ottenere con il rispetto delle regole europee di bilancio e l’accettazione della recessione produttiva e conseguente disoccupazione (che ritengo una vera follia politica). Draghi, in qualità di presidente della Bce, avrebbe tutto l’interesse a sostenere questa iniziativa, che sottrarrebbe le sue scelte al ricatto di una deflagrazione dell’euro e la sua politica a quella che il prof. Giangiacomo Nardozzi ha chiamato “la cattura da parte del mercato” facendogli perdere la sua indipendenza.

Non voglio neanche pensare che cosa accadrebbe se la proposta di unificazione politica venisse respinta dai paesi del Sud Europa interessati. Né la loro economia, né la loro società, né la loro politica reggerebbero all’impatto di una continuazione del trend nel quale è stata collocata l’eurozona e l’Ue. La speranza di invertire questo trend con le proposte che si leggono e che si prendono è illusoria. Se si vuole andare fino in fondo a questa strada non potrò farci niente. Ma almeno si sappia che qualcuno aveva avvertito dei rischi e indicato le soluzioni.



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