Siamo un popolo poco sciovinista. Gli italiani hanno poco senso di appartenenza, poco orgoglio patrio. Certo la storia è antica. Dalla caduta dell’impero romano d’Occidente in avanti, l’Italia fu propaggine geografica buona per le avventure espansionistiche di ogni altro impero. Colonia prima del colonialismo. Poi ci fu l’unificazione, avvenuta con ago e filo e qualche scupittata, specie in zona Regno delle Due Sicilie, che affermò l’Italia piemontese. Quindi, al ritorno dell’impero, sotto il carisma di quell’uomo che durò un ventennio, gli italiani si trovarono, probabilmente, a far mostra di così tanto orgoglio patrio che dal dopoguerra a oggi è stato stigmatizzato, ridotto a valore sporcato di significato deteriore. Ecco.
Eppure l’orgoglio di essere italiani, oggi, in giorni terribili quali sono quelli di questo nostro presente, sarebbe quel valore auspicabile per creare quell’amalgama tra gli strati della società che, prima delle corporazioni che anacronisticamente le rappresentano (le cosiddette parti sociali) fornisce all’esecutivo d’urgenza nazionale, comandato da Giorgio Napolitano, la legittimazione e il sostegno di fare. Di cambiare questo Paese.
Un sentimento di unità nazionale, su cui possa fondarsi un governo di unità nazionale, non si improvvisa ma si cementa e consolida con la politica. Una politica dove non bastano gli amministratori della cosa pubblica, servono statisti. Uomini di stato che sanno guardare lontano. Abbiano idee di cambiamento. Dotati di carisma per legittimare sé stessi, il loro operato e le scelte del proprio esecutivo. Specie in una situazione come quella italiana in cui la legge elettorale non consente un contatto diretto tra l’elettore e il suo rappresentante, solo il leader con carisma, autorevolezza, con la capacità di dialogare direttamente ai cittadini può legittimarsi ex-post. E non c’è via d’uscita se non si vuole far dipendere la durata di questo governo agli starnuti della magistratura, alla riuscita di un trattamento di piling di qualche amazzone da una parte, o alle piattaforme programmatiche dal fumo ideologico di qualche bottega oscura dall’altra parte.
Ci vogliono decisori a livello politico che sappiano smantellare dallo stato quell’apparato burocratico, quel reticolo di funzionari che in tanti anni, al mutare degli esecutivi che si sono succeduti, hanno fallito. E che a differenza di qualsiasi altro dirigente che opera in un’azienda privata non sono stati giudicati in base ai risultati ottenuti.
Per legittimare decisioni dure, che creano discontinuità che sono le cuspidi del cambiamento come vuole la legge del rapporto incrementale, la politica deve avere un progetto, deve sapere indicare un orizzonte in cui coinvolgere gli italiani tutti. Una politica che non scambi i mezzi con i fini. Come l’Imu o il lavoro su cui si consumano i rovelli subordinando la via maestra ai capricci del tom tom per raggiungere la tangenziale. Appena l’inizio del percorso.
L’orgoglio patrio si nutre della sovranità popolare che si esplica nella capacità dei propri rappresentanti di prendere decisioni interne e decisioni sullo scacchiere internazionale. La sovranità, quando non ci si fa la guerra, è capacità di battere moneta o di contare nei regolamenti con cui uno stato, all’interno di una confederazione, può gestire le proprie politiche monetarie e quindi economico-finanziarie.
Non è un caso che lo stesso itinerario, ripercorso all’inizio di questo articolo, può essere raccontato seguendo la storia della nostra ex-moneta. La lira. Che fu, pensate, moneta unica nell’Occidente ai tempi dell’impero romano. I francesi, ad esempio, uscirono dalla lira solo con Napoleone, manco a dirlo quando in Francia fu tempo d’ impero.
In tempi più recenti, i rapporti di forza tra sovranità politiche e tra visioni del mondo dei vari stati nazioni hanno perfetta corrispondenza con le tensioni sulle monete. Per tornare all’andamento della vecchia lira, misurato nel rapporto rispetto a un grammo d’oro, si vede come a cavallo delle guerre mondiali il suo valore ha subito due fortissimi crolli. Il primo attorno del 1921 quando passò da 3.48 L./ 1 gr oro a 15.68 L./ 1 gr oro. E poi dopo a cavallo del 1948 quando passò da 71.53 L./ 1 gr oro a 646.64 L./ 1 gr oro.
A dimostrazione di come la nostra classe dirigente ha sempre ritenuto più efficace fare ammenda barattando errori veri o presunti commessi, l’inefficienza nella gestione del sistema paese, con la svalutazione della nostra moneta.
Esattamente come l’artigiano che, alla reazione del cliente sofisticato che si lamenta dell’esecuzione del lavoro che ha imbrattato il parquet del soggiorno, è pronto a riconoscere uno sconto ulteriore senza gestire con autorevolezza la trattativa. Probabilmente perché consapevole di aver commesso altri errori di cui il cliente non si è ancora accorto.
Ora è ovvio che i tassi di cambio tra le monete sullo scacchiere internazionale sono il frutto di tantissime altre variabili che fanno la storia economica e politica del mondo intero, ma certo è che la mancanza di autorevolezza della classe politica italiana, l’impossibilità di dettare proprie condizioni ha pesato tanto quanto le crisi petrolifere, le questioni geopolitiche in medio oriente, la guerra fredda ecc.
Non è un caso che sulle banconote delle vecchie lire non si trova mai stampigliato il volto di un politico italiano illustre. Di uno statista. Né di un passato remoto né, tanto meno, di un passato più recente. Questo non vale per gli Stati Uniti d’America e non vale per la Germania. I primi, sul dollaro, per ogni taglio hanno il volto di un Presidente degli Stati Uniti D’America, la Germania quello dei più importanti cancellieri: Brandt, Adenauer, Schumacher.
Sulle lire si trovavano i volti di personaggi illustri del mondo della cultura della scienza e dell’arte del nostro paese: Leonardo da Vinci, Caravaggio, Verdi.
Con l’ingresso nell’Euro, sfrattati dalla banconota che li ospitava, via via sempre più indegnamente, considerato il loro valore, a tali personaggi illustri fu trovato riparo nella denominazione di alcuni treni delle nostre ferrovie. Curioso che Leonardo da Vinci e Caravaggio denominano quei treni che dall’Italia sono diretti in Germania.
Per finire questo viaggio nel mondo della sovranità spiegata attraverso le monete e i volti sopra di esse, ecco l’esempio della Sicilia. Che cito, badate bene, a esempio di nazione nella nazione all’interno del nostro stesso paese. A riprova della mancanza di senso patrio dei siciliani in Sicilia e degli italiani in Italia.
Prima dell’unificazione in Sicilia vigevano due tipi di monete : l’onza (oro) e il tarì (argento). Sebbene una moneta propria potrebbe far pensare a un eccesso di sovranità in terra di Trinacria, sappiate che quello che non faceva lo stato svalutando, lo facevano i siciliani. Pensando di essere sempre più furbi, molti vivevano del mestiere di tosatori. Termine che sebbene alluda al mestiere che, probabilmente gli sarebbe stato più consono, indicava coloro i quali tosavano le monete alleggerendole. Facendo profitto nelle varie transazioni commerciali.
Questo e gli altri esempi confermano che ci vorrebbe uno stato più tosato e con maggiore potere monetario.