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La libertà religiosa del Card. Scola e i tagliagole islamici

 

Ascoltare il Card. Scola è sempre un piacere dell’intelletto e dell’anima. Mercoledì scorso, in occasione della presentazione del suo ultimo saggio sulla libertà religiosa, ho avuto modo di incrociare ancora la sua dialogica raffinata e il suo bonario umorismo, che fa molto sàpido prelato moderno, ma non modernista. Il tema – la libertà religiosa – è un mondo e non sto qui a declinare testo e contesto. Mi muove un’altra urgenza: paragonare questa avventurosa categoria, la libertà religiosa, con l’inverno, non solo meteorologico, del nostro scontento, carnalmente appiccicatosi ad una lama violenta e fanatica, che stacca la testa dal collo ad un giovane, semplice e occidentale, soldato – e par questa la colpa, a dire del delirio di costui – impegnato anche in Afghanistan. Che ne è del cielo empireo della facoltà soggettiva, con vaste ricadute pubbliche, di questa realtà, di valore naturale, la libertà di vivere e praticare il proprio culto e, dunque, di essere uomo, autenticamente uomo di fronte al Dio della propria anima, di fronte al barbaro abominio del tagliagole islamico di colore che ostenta il suo delirante vaticinio di fronte ad una telecamera? No, non si tratta di tagliare ponti e negare libertà che dalle parti per le quali parteggio – l’Occidente cristiano e liberale, per fondamento personalistico e teologico – sono pane quotidiano, è altra la questione. La direi più o meno così: il meticciato delle civiltà e la necessità di dialogare che poi significa con-vivere con l’altro – fuori dai fariseismi ipocriti: l’Islam in carne, ossa e machete -, così appassionatamente e persuasivamente declinato da Scola può fare a meno del sano principio di realtà? Si dà convivenza senza armi di difesa contro la violenza del machete dei tagliagole con “Allah Akbar” soffocato in una gola che può ancora emettere frasi, ancorché sconnesse e sgangherate? Avremo mai un livello decente di convivenza senza pre-ordinare azioni di difesa sistematica nei confronti di chi se ne fotte di noi, della nostra civiltà e della nostra sensibilità e, pur occidentale nella cultura, fuoriesce dai suoi college e scanna il concittadino ignaro? Cristo crocifisso, che segna il limite della nostra posizione di fronte all’altro e sconfina rispetto alla perfida tolleranza, alla fine repressiva, può essere posto a fondamento della testimonianza, talché quest’ultima diventi paradigma di un’azione pubblica efficace e capace di trattenere, di fare azione di contenimento nei confronti dell’oppressore e di chi nasce, cresce e si inserisce fra di noi, con il cuore già macchiato dalla colpa di voler distruggere chi lo ha accolto e coltivato, con gratuità e libertà? Tutto qua.

Raffaele Iannuzzi


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