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La luce del mattino

Mattina. La luce è abbacinante. Riverbero di un sole di colore giallo chiaro. Chiarissimo che entra dalle finestre e si allunga, mentre segue l’ellittica trainato da Apollo, sopra la polvere dello schermo oscurandone il contenuto elettronico. Fumi, alla finestra guardando verso Est. Devi abbassare lo sguardo per sottrarre gli occhi alla luce. Non puoi guardare il cielo che è terso, ma solo la terra dove il luccicare delle teste delle viti che fissano il tek della copertura delle aule sotterranee ti rimanda al luccichio della Luna sul mare, alla sera, che fotografa la faccia delle onde a perpendicolo.

Sera. Pensi Apollo alla fine del suo sforzo quotidiano. Lo immagini godersi la discesa verso casa. Ma è solo illusione, quella dettata dal tuo egocentrismo che esclude la presenza di altri punti di riferimento. Quelli per cui Apollo è solo all’inizio del suo cammino, quando più irta è la salita verso Mezzogiorno. Quando Apollo ha raggiunto l’orizzonte da dove il ponente ti sussurra le sue note amplificate dalle fronde, il sole fa breccia allungandosi sulla polvere del tuo schermo. Esattamente come era avvenuto al mattino. Il giallo sconfina nell’ocra adesso. Non è il sole del mattino, ovvio. Ma non solo, quel riverbero è figlio dell’immagine del sole d’Occidente riflesso sulla vetrata dell’edificio di fronte. Pura illusione, dunque.


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