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La reputazione della Pubblica Amministrazione

Questo mese di maggio ormai volge al termine. E’ stato un mese uggioso, irriconoscibile. Ma questo mese inizia sempre con la Festa dei lavoratori. Pensate alle immagini che si vedono in questo giorno.

Persone che lavorano in fabbrica, persone che lavorano la terra, persone che lavorano la pietra, persone che lavorano in miniera, persone che lavorano nell’edilizia. In primo piano i volti affaticati, stremati. Lavori usuranti di certo, i quali meritano assoluto rispetto.

Non si vedono però persone che lavorano nella P.A.

E questo è un segnale.

Questa “immagine” mi serve per dire che non si ha una percezione del lavoro pubblico, perché non si conosce il lavoro pubblico.

E tutto diventa una generalizzazione per cui il lavoratore pubblico è un privilegiato che non si sporca le mani mentre lavora ma semmai se le sporca in altro modo.

Questa è una gravissima supposizione.

La reputazione è connessa anzitutto al rapporto di fiducia, ma anche alla qualità del servizio erogato. In questi ultimi tempi gli uffici pubblici, più che mai, sono presi di mira da reazioni esasperate che in qualche caso purtroppo sono sfociate in tragedia. La crisi come apoteosi dell’esasperazione che provoca situazioni di pericolo fino alle estreme conseguenze.

In questo spazio mi permetto di trattare, seppur brevemente, una tematica che è stata oggetto di una mia relazione al FORUM PA 2013.

Partendo da un recente fatto di cronaca (l’assassinio di due impiegate della Regione Umbria), il seminario http://iniziative.forumpa.it/expo13/officine/la-reputazione-della-pubblica-amministrazione-questo-paese-puo-l-impiegato-pubblico    si è trattato, anche con l’ausilio di video, il tema della percezione del dirigente pubblico da parte della società civile. Nella discussione sono intervenuti anche psicologi, l’associazione dei dirigenti della PA (AIDP.pa), studenti delle scuole superiori e la Regione Umbria. L’obiettivo è riflettere sul tema del valore del Lavoro Pubblico, valorizzare l’impegno della PA italiana in termini di legalità e promuovere una PA in grado di porsi obiettivi in piena sintonia con la sensibilità civile dei cittadini.

C’è necessità di una nuova visione della P.A.. Una visione moderna e complessiva che possa dare il senso compiuto di quanto è vitale la comunità dei lavoratori pubblici che giornalmente debbono districarsi tra norme e procedure spesso confuse, contradditorie che rendono la vita difficile a tutti. A chi lavora nella P.A. E alla c.d. utenza, che a me piace chiamare la comunità dei cittadini, poiché lo siamo tutti e tutti quotidianamente abbiamo a che fare con la P.A.

Vi è però, in generale, un’arretatrezza che comporta spesso lungaggini inutili. Ma ciò spesso dipende dai mezzi messi a disposizione o dai mezzi usati male.

La trattazione non può essere così ampia da ricomprendere anhe la gestione delle risorse umane, ma certo l’impatto di chi osserva la P.A. dall’esterno è  quello di vedere gente che si muove spesso senza capirne il senso di insieme.

Noi viviamo in una società veloce che spesso contrasta con la lentezza delle risposte che prevedono procedure lente. E questo dipende da tanti fattori. O da una effettiva inerzia oppure da vari livelli decisori che non permettono una tempistica dell’atto o del servizio.

 

Quante riforme hanno inseguito questo l’obiettivo di una nuova immagine della P.A.? Da cosa dipende il suo “cambio di immagine”? La P.A. da sempre gode di pessima reputazione perché ogni giorno il cittadino si scontra con un ufficio, uno sportello un servizio che la rappresenta. E a poco servono esempi virtuosi. In questo campo più che mai la generalizzazione è la regola che soppianta le eccezioni e le eccellenze. Chi ha a cuore il buon andamento della P.A. non può non sentirsi ferito o offeso da giudizi assolutamente negativi dai cittadini troppo frettolosamente chiamati utenti. Anche perché il concetto di utenza è ormai obsoleto e definisce una sorta di “classe” sottoposta alle “lucubrazioni” di “pubblici amministratori” il cui compito fondamentale è quello di dare risposte attraverso quella certezza del diritto e dei diritti che rendono un Paese non solo bene amministrato, ma anche civile.

 

Orbene, nel tempo lo status di debolezza, di vulnerabilità ha aperto facili e purtroppo tragici attacchi alla Pubblica Amministrazione che ha di fatto oscurato il comportamento virtuoso di molti pubblici funzionari i quali con capacità e merito hanno svolto un ruolo di primo piano per difendere un’immagine spesso non corrispondente alla realtà. Certo è che in tempi di revisioni è necessario rivedere per l’appunto caso per caso la P.A. Dall’interno senza la tentazione di usare argomenti generali che penalizzino casi di eccellenza o semplicemente “regolari”. Questo aspetto non è di poco conto poiché le situazione derogatorie sono state la principale causa per cui, spesso, l’applicazione delle regole è stata penalizzata con tutte le conseguenze queste si sotto gli occhi di tutti.

L’uso oculato delle risorse, la capacità di amministrare, di dirigere diventano un punto di svolta di una pubblica amministrazione che vuole cambiare pelle. Sono eclatanti gli esempi di lunghe attese nel campo sanitario per effettuare spesso esami strumentali semplici. Il ricorso a strutture private è sovente la soluzione allo smarrimento di chi in stato di necessità, anche in difficoltà economiche, deve ricorrere alla cure. In tempi di spending review, di razionalizzazione di costi un ruolo fondamentale deve essere svolto da chi materialmente deve assicurare i servizi. Ed è chiaro che in questo quadro servono Alte Professionalità che rivoluzionino l’impatto con una pubblica amministrazione che ci segue dalla nascita alla morte. Per questo è fondamentale tornare al concetto di classe dirigente, la quale per Bertrand Russell è lo specchio della società. Questa classe è stata da sempre caratterizzata dall’interesse a durare piuttosto che a decidere. Per anni si è consolidato il sistema delle consulenze, dei professionisti del consiglio che evidentemente hanno portato più risultati privati che pubblici… E, in questo caso, Sabino Cassese ci rammenta come “Ogni volta che si è cercato di introdurre un sistema che conducesse i migliori direttamente al vertice, le resistenze hanno o impedito o fatto fallire il disegno. Questa configurazione del sistema è dovuta, in larga misura, al sindacalismo amministrativo, sempre piuttosto alto, fin dall’età giolittiana, e che ha coinvolto non solo i gradi bassi, ma anche quelli medi della burocrazia. Questo ha visto sempre con sfavore la costituzione di un èlite amministrativa.”

Capacità, merito, gestione oculata delle risorse umane e strumentali con il costante faro dell’etica pubblica: semplici e fondamentali elementi per una pubblica amministrazione che può finalmente mostrarsi davvero nuova, per una vera riforma da tutti attesa. Oltre gli annunci e le puntuali interruzioni di un nuovo modello di “pensiero”.

 


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