di Paolo Saraceno, INAF (Istituto Nazionale di Astronomia e Astrofisica)
In un lungo e interessante articolo comparso in 4 puntate su Astrolabio, Mario Signorino, tra i fondatori di Amici della Terra in Italia, traccia la storia dell’ambientalismo italiano. Nelle prime pagine fa un’analisi impietosa dello stato attuale dei movimenti “verdi” domandandosi cosa li ha portati a battersi contro gli inceneritori mentre si bruciavano i rifiuti per strada; a combattere grandi infrastrutture come la TAV che riducono l’uso dei combustibili fossili e creano sviluppo; ad opporsi al deposito di rifiuti tossici e radioattivi (provenienti al momento da ospedali e industrie e in futuro dalla dismissione degli impianti nucleari italiani) esponendo così l’ambiente a grandi rischi che in un paese civile andrebbero evitati. A questo Signorino aggiunge i “pericoli inesistenti attribuiti all’elettrosmog e i presunti rischi sanitari degli OGM, tutti fatti che inducono sprechi di risorse economiche e rallentano l’innovazione”.
Accusa i movimenti “verdi” italiani di aver sostituito la responsabilità verso l’ambiente con false informazioni, catastrofismi e paure e, ancora, di aver costruito un ambientalismo di rendita il cui successo è assicurato dai media, “complici naturali di tutti gli allarmismi”.
Dopo quest’analisi, Signorino traccia la storia dell’ambientalismo italiano dagli anni ‘70 ad oggi osservando, in conclusione, che i movimenti verdi, dicendo no a tutto danno fiato alle posizioni negazioniste sull’ esigenza di una tutela ambientale”.
L’articolo è interessante ed è in gran parte condivisibile; manca, nelle conclusioni, un’analisi sulle ragioni che hanno portato a questa situazione. Vorrei quindi, in queste pagine, dire quello che io ritengo sia stata la causa di questa situazione e quello che penso sia necessario fare per arrivare a un ambientalismo forte, responsabile, capace d’influenzare positivamente le scelte dei nostri politici.
A differenza di Mario Signorino, non ho vissuto la storia dell’ambientalismo italiano, mi sono avvicinato a questi argomenti tardi, vicino all’età della pensione, dopo aver passato gran parte della mia vita nel mondo della ricerca (in astrofisica). Ci sono arrivato seguendo le riflessioni, fatte in un mio libro il Caso Terra, su quel che può rendere possibile la vita su di un pianeta e quello che può distruggerla, poiché la storia della Terra mostra che le estinzioni di massa sono state causate da cambiamenti climatici (solo il clima può avere effetti globali sulla biosfera), ho cominciato a informarmi sulle questioni ambientali del nostro pianeta, il solo che oggi si può studiare.
Quando mi sono avvicinato a questi argomenti ho scoperto, con grande sorpresa, che i contatti tra il mondo dei “verdi” e quello della ricerca erano praticamente inesistenti. Il primo era popolato da passioni, dal desiderio di battersi per un mondo migliore,da gente piena di certezze su cosa fare e una scarsa voglia di studiare per dare una base solida alle certezze che si possedeva. Il secondo, il mondo della scienza, aveva una grande diffidenza verso i “verdi” e discuteva a livello internazionale dei risultati che glaciologi e paleontologi trovavano sul clima del passato, sui complessi modelli usati da fisici e matematici per descrivere il clima e cercare di prevedere il futuro. Un mondo con poche certezze, molti dubbi e con tutti gli interrogativi che l’analisi di una situazione complessa come quella climatica richiedeva.
Questa dicotomia, più forte in Italia che negli altri paesi del mondo è, a mio avviso, la ragione del lento declino di cui parla Signorino: si fa la guerra agli inceneritori perché non si legge e non si sa che un moderno termovalorizzatore, quando è usato per produrre energia, ha un impatto ambientale simile a quello di un impianto a gas di uguale potenza; che ogni volta che esportiamo all’estero una tonnellata di rifiuti esportiamo in media 0.7 MWh di energia elettrica oppure, se si vuole sfruttare il calore, per ogni tonnellata di rifiuti esportiamo 0,4 MWh di energia elettrica e 1.4 MWh di energia termica che può essere usata per riscaldare le case (con impianti di teleriscaldamento che hanno un impatto ambientale e costi di gran lunga inferiori a quelli degli impianti che riscaldano i singoli edifici). Non ci rendiamo conto che l’energia che esportiamo con i rifiuti (per di più pagando perché se la prendano), la re-importiamo poi sotto forma di combustibili fossili con svantaggi per l’ambiente e per le nostre tasche. Non ci vuole molto per capire come stanno le cose, visto che esportiamo rifiuti in paesi più attenti del nostro ai problemi ambientali e che spesso bruciano i rifiuti in termovalorizzatori costruiti dentro le città per ridurre la lunghezza dei tubi con cui trasportano l’acqua calda nelle case. Chi combatte i termovalorizzatori conosce questi fatti?
Un altro esempio è l’avversione al deposito nazionale di materiali tossici e radioattivi. In altri paesi (Svezia) la popolazione informata correttamente non solo è favorevole alla loro realizzazione, ma spinge i comuni ad avere i depositi sul loro territorio; giudica trascurabili i rischi e vede invece i vantaggi economici dell’operazione. Da noi, invece, grazie alle false informazioni, conserviamo questi rifiuti nelle cantine degli ospedali e in depositi di superficie, con rischi per l’ambiente e per le persone che dovessero per errore entrarne in contatto.
Un esempio c’è anche nell’articolo di Signorino (per questo ho detto quasi condivisibile) quando parla di “grande balla sul peggioramento continuo delle condizioni climatiche” (immagino riferendosi al riscaldamento globale) “sostenuta da giornalisti scienziati e ricercatori concerned”. Un’inutile virulenza verbale visto che, i dati paleontologici mostrano che da centinaia di milioni d’anni, non si osservano emissioni di gas serra intense come le attuali, 100 volte superiore a quelle geologiche (principalmente dovute ai vulcani). Sino al 1800, le emissioni antropiche erano trascurabili rispetto a quelle geologiche. Da circa un secolo questo antichissimo equilibrio è stato interrotto e da allora il ciclo del carbonio e di tutti gli altri gas serra (che contribuiscono a regolare il clima del pianeta) è dominato dalle emissioni umane, andrei quindi cauto a definire la questione una “grande balla” anche perché la storia del pianeta mostra che sono bastate emissioni 20 volte inferiori a quelle odierne (allora causate da enormi eruzioni vulcaniche) per arrivare ad estinzioni importanti. Perché adesso dovrebbe essere diverso? Potrei continuare a lungo con questi esempi ma lo spazio è breve e penso che la tesi che sostengo sia ormai chiara; aggiungo solo che condivido in pieno le frasi dette da Signorino su elettrosmog ed OGM.
Concludo osservando che la separazione tra i movimenti “verdi” e il mondo della scienza e della tecnica è un danno per tutti; ritengo infatti che il ruolo dei movimenti debba essere quello o di fare da ponte tra scienziati e tecnici da un lato e politici dall’altro. Un ponte necessario per prepararci a quando, alla fine del secolo, saremo 10 miliardi di persone auspicabilmente benestanti (contro il miliardo di persone al confronto “povere” del 1800). Se la società del futuro assomiglierà a quella che oggi vediamo nei paesi ricchi, i problemi che avremo saranno enormi. La soluzione non verrà certo dalla guerra all’elettrosmog, agli OGM, ai termovalorizzatori, alla TAV, al Mose e neanche dalla guerra all’energia nucleare, la sola oggi capace di produrre grandi quantità di energia senza produrre gas serra. La soluzione non verrà dai “no” cari a molti movimenti “verdi”, ma da un“sì” ad una proposta globale, costruita faticosamente, per coniugare il benessere delle persone con quello del pianeta.
Ritengo pertanto che i problemi dell’ambientalismo, sottolineati da Signorino, saranno risolti solo quando vedremo qualche ambientalista frequentare convegni scientifici di livello e quando scienziati di pregio saranno invitati ai convegni dei “movimenti verdi”. Allora nasceranno discussioni costruttive, avremo tutti meno certezze, ma saremo più vicini alla verità e vedremo la rinascita dell’ambientalismo Italiano. Ricordo quando, anni fa, venne a Roma James Hansen, uno dei maggiori climatologi mondiali, per presentare la traduzione in Italiano del suo libro “Tempeste”. Ricordo che venne e ripartì nella quasi totale indifferenza.