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L’abbraccio mortale fra l’Europa e le sue banche

Non lo dico io, che non so nulla, ma la Consob, che si presume sappia quel che dice: “La stretta interconnessione tra banche ed emittenti sovrani ha continuato a condizionare, anche nel corso del 2012, l’evoluzione della congiuntura
nei paesi europei e il dibattito sulle misure di policy idonee ad attenuare il legame tra rischio sovrano e rischio bancario. Tale interconnessione è stata alimentata dalla significativa crescita delle dimensioni del sistema bancario registrata, a partire dai primi anni 2000, nei principali paesi europei”.

Che vuol dire? Che le banche europee, assai più che la banca centrale, sono la fonte dell’abnorme crescita finanziaria nell’Unione europea e, insieme, le responsabili del contagio che ha finito con l’indebolire gli stati sovrani.

La crescita degli asset bancari, che ha sostenuto la crescita nei primi anni 2000, è stata anche il fardello che ha zavorrato i tentativi di ripresa dell’eurozona. Con la conseguenza che oggi le banche stanno a galla non concedendo credito all’economia reale, visto che ne hanno concesso troppo in precedenza, dovendo risanare i propri coefficienti patrimoniali. Per riuscirci usano i programmi straordinari della banca centrale grazie ai quali migliorano la propria redditività.

L’esplosione del debito privato, che segue logicamente all’aumento degli asset bancari, è stata la mina che ha fatto scricchiolare i conti degli Stati, dal 2008 in poi.

A confermare tale conclusione i dati contenuti nella relazione annuale della Consob presentata ieri, che esamineremo approfonditamente nei prossimi giorni.

Ma tale analisi non può che partire dalle banche, le vere creatrici di moneta (bancaria) dell’eurozona.

Cominciamo dal dato aggregato. Nel 2001 gli attivi delle banche di Germania, Spagna, Regno Unito, Francia e Italia, totalizzavano un po’ meno di 20.000 miliardi di euro. A fine 2012 sfioravano i 35.000 miliardi.

Il sistema bancario più nutrito è quello inglese, che pesa 9.552 miliardi, circa cinque volte il Pil di quel paese. Poi ci sono Francia e Germania, con circa 8.000 di attivi, rispettivamente quasi quattro e poco più di tre volte il Pil. Quindi l’Italia, le cui banche pesano 4.220 miliardi (un po’ meno di tre volte il Pil) e la Spagna, con 3.582 miliardi, oltre tre volte il Pil.

Nel periodo 2001-2012 le dimensioni totali dell’attivo sono più che raddoppiate in Spagna e Italia (+177% e +125%), mentre in Francia sono quasi raddoppiate (+99%), nel Regno Unito sono aumentate del 62% e in Germania appena del 31%. Non è un caso che i Paesi dove sono più che raddoppiati gli attivi siano gli stessi dove più forte sia stato il boom immobiliare.

Qual è il problema? Anche qui, lasciamo la parola alla Consob: “All’aumentare del peso del sistema bancario nell’economia cresce di pari passo l’incentivo dello Stato a sostenere gli istituti creditizi in difficoltà. In ambito europeo, in particolare, a partire dal 2007 sono stati realizzati numerosi interventi a favore del settore bancario, talvolta sotto forma di ricapitalizzazioni (poi sfociate in nazionalizzazioni) degli istituti di credito coinvolti, più spesso sotto forma di garanzie statali sulle passività bancarie; queste ultime, pur non comportando un reale esborso di denaro, hanno fatto
sorgere consistenti passività potenziali a carico dei bilanci pubblici”.

Ecco la fonte del contagio.

Nella poco encomiabile classifica dei salvataggi, la Gran Bretagna non ha rivali: lo stato si è dovuto far carico di 115 miliardi di interventi per le banche private, il 6% del Pil. Quindi la Spagna, che ha messo sul piatto 54 miliardi, il 5% del Pil, poi la Germania, 47, e la Francia, 25. l’Italia solo 6 miliardi. E parliamo solo di esborsi per ricapitalizzazioni.

Se poi andiamo a vedere il dato della fornitura di garanzie, gli inglesi hanno dovuto firmare cambiali per oltre 1.000 miliardi, la virtuosa Germania per 370 miliardi.

In Italia finora siamo stati bravi.  Quasi bravi. Da noi l’intervento pubblico si è sostanziato in garanzie per 120 miliardi fornite alle banche per sostenere un volume corrispondente di prestiti obbligazionari. Passaggio obbligato per sostenere i loro coefficienti patrimoniali dopo il deterioramento sofferto dai loro portafogli, gonfi di titoli di stato, a causa della crisi dello spread.

Tutta questa fatica (degli Stati) al fine di sostenere la redditività bancaria, che infatti, salvo che in Gran Bretagna e Spagna, ha ricominciato a crescere dal 2011. Nulla di strano che a ottobre 2012 un rapporto voluto dalla commissione europea sia arrivato alla conclusione che bisogna separare le attività (chi fa trading da chi fa mutui, per capirci) delle banche.

Maddai.

Vale la pena rilevare che nel primo semestre 2012 è aumentato il peso dei ricavi da negoziazione titoli sul totale dei ricavi per tutte le banche europee. Tanto per capire dove vanno i soldi a costo zero della Bce.

In compenso sono aumentate in tutti i paesi, tranne che in GB, le sofferenze lorde. Ossia i crediti concessi all’economia reale.

In Italia il dato è il peggiore: le sofferenze hanno superato il 6% del totale lordo dei crediti, dal 5% circa del 2009. Allo stesso tempo si è avuta un’impennata, dall’1 al 12%, dell’indice che misura la difficoltà nell’avere credito.

Interessante anche il confronto su come le banche abbiano configurato questi attivi. Nelle banche italiane  e spagnole il peso delle attività finanziarie e dei derivati arriva a circa il 15%, a fronte del 20% di quelle tedesche, del 22% di quelle francesi e del 26% di quelle inglesi.

Il fair value degli strumenti derivati con valore di mercato positivo rappresenta circa un quarto del totale attivo per gli istituti inglesi e francesi e il 35 per cento per quelli tedeschi; per le banche spagnole e italiane tale valore risulta significativamente inferiore (pari, rispettivamente, al 10 e all’8 per cento).

Questo tanto per capire chi fa più soldi con i soldi.

Al contrario i finanziamenti alle imprese sono decrescenti in Francia, Spagna e Italia, mentre sono stabili in Germania.

Ultimo indicatore utile a capire l’aria che tira è il Loan to deposit ratio delle banche, ossia il rapporto fra i crediti verso i clienti e i propri debiti (depositi e emissioni obbligazionarie).

Stavolta sono le banche italiane a quelle spagnole ad avere i valori più elevati. Quelle italiane, in particolare, hanno un indice che supera quota 100%. Significa che gli impieghi illiquidi (segnatamente i prestiti) eccedono la capacità di raccolta di depositi e obbligazioni. Ma significa anche che le banche italiane prestano soldi assai più di quelli che usano per giocare in borsa.

Conclusione: le banche di GB, Germania e Francia, sono le più esposte sul fronte delle turbolenze finanziarie e quelle che più di tutte hanno pesato sui conti pubblici, checché ne dicano gli spread. E quindi sono quelle che più abbisognano di politiche monetarie accomondanti, malgrado la vulgata dica il contrario.

Il loro abbraccio mortale spiega molto bene le ragioni dell’austerità.



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