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Lavrov-Kerry, le critiche di Ian Bremmer sulla Siria

“L’America non pensa più alla rimozione immediata di Assad. Mosca non pensa più alla permanenza di Assad. E ora chi lo dice ai siriani?” twitta Ian Bremmer. Il politologo fondatore di Eurasia Group, uno dei più ascoltati e attivi think tank americani, fotografa così la duplice sorpresa di queste ore di molti osservatori.

La sorpresa principale è John Kerry che va a Mosca a trattare sulla Siria. Con realismo, si potrebbe aggiungere, perché la Russia ha investito molte risorse a Damasco. E qui sta la seconda sorpresa: gli investimenti politico-militari russi si rivelano funzionali non tanto alla tenuta in sella del regime di Bashar-al-Assad, quanto allo svolgimento di un ruolo di primo piano nell’evoluzione degli equilibri dell’area. Anche qui, con sano realismo. Difficile davvero pensare che Mosca si leghi mani e piedi ad un asse in cui Teheran e gli Hezbollah giocano un ruolo così importante. Certo, alcuni ideologi dell’eurasiatismo russo non disdegnano l’ipotesi di controbilanciare l’ascesa sunnita patrocinando un blocco sciita, ma certo non al punto di danneggiare gli interessi nazionali, che comprendono il mantenimento di proficui rapporti con Israele ed Irak e il contenimento del fondamentalismo centroasiatico, attualmente sopito, ma troppo rischioso in prospettiva.

E allora qual’è il punto sollevato da Bremmer? E’ il “popolo siriano”, sulle cui aspirazioni sarebbe passata sopra una diplomazia cinica e moralmente indifferente.
Purtroppo, quello che è accaduto è parte della realtà diplomatica. E anzi, della buona diplomazia. Se poi il risultato sarà una conferenza di pace internazionale, probabilmente altri osservatori storceranno il naso, in particolare in quelle pieghe dei media americani (non necessariamente “neo-con”, ma anche molto “liberal”) in cui ancora si culla il sogno degli Usa super-potenza senza rivali. E parleranno di melina diplomatica che non risolve niente, mentre la gente muore. Va però riconosciuto qualcosa a questo realismo freddo e razionale, iniettato in buone dosi nelle vene del neosegretario americano (su quelle di Lavrov & C, non abbiamo mai avuto dubbi…), se non altro perché in passato ha tenuto a freno i falchi dell’una e dell’altra parte, risparmiando al pianeta un olocausto nucleare.



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