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Lega Nord, la vera sconfitta delle amministrative 2013

Il vero sconfitto di queste amministrative 2013? La Lega Nord, che ne esce con le reni spezzate. Questa mattina, cercando di dribblare i giornalisti che chiedevano un commento sulle amministrative all’ingresso della seduta del Consiglio regione lombardo, il segretario federale Roberto Maroni ha semplicemente detto “Ne parleremo venerdì, al consiglio federale”.

Il silenzio leghista

Tutti zitti i leghisti di punta, da Matteo Salvini, a Luca Zaia, a Flavio Tosi, ma la sconfitta di Vicenza e l’emorragia di consensi a Treviso sono segni indelebili che nessuno è ancora riuscito a giustificare.

Era il 10 aprile 2012 e l’avevano ribattezzata la notte delle scope. Non quella delle streghe o delle befane, ma quelle che sarebbero dovute servire a fare pulizia, rinnovare, a creare una nuova era. Oggi, la Lega Nord sembra essere rimasta con la scopa in mano e non saper più dove girarsi.

Il dato chiaro di queste elezioni comunali è che agli italiani piacciono le grandi coalizioni e che Beppe Grillo ha già perso il suo appeal. Nel comune di Basiglio, ad esempio, roccaforte berlusconiana in provincia di Milano, ha vinto il candidato sindaco, Eugenio Patrone, che raccoglieva rappresentanti uscenti da Sel, Pd, Pdl, fino quasi a Forza Nuova.

La sberla in faccia al Carroccio

Nessuno però ha notato la sberla in faccia che il Carroccio ha ricevuto con queste elezioni, talmente forte da tramortire tutti i suoi dirigenti. Ma chi ha perso veramente all’interno della Lega? Una cosa è certa: pulizia non è stata fatta.

Il massacro dei candidati leghisti

Manuela Dal Lago, candidata sindaco di Vicenza, bossiana di ferro e reggente al tempo degli scandali di Belsito, ha perso in maniera così eclatante da sorprendere i vicentini stessi che oggi si sentono quasi dispiaciuti. E’ vero che Achille Variati, vincitore al primo turno, è un piddino un po’ anomalo: già sindaco democristiano, in questi anni ha fatto alcune mosse azzeccate, tra cui riaprire la basilica Palladiana di piazza dei Signori, e la gestione in maniera impeccabile la crisi ai tempi dell’alluvione. Ma almeno, con la tanto criticata candidata del Pdl alle elezioni del 2008, Lia Sartori, al ballottaggio il centrodestra ci era arrivato. Ora è stato un vero e proprio massacro. Forse l’elettorato si è chiesto se la Dal Lago non fosse ancora espressione di quella vecchia dirigenza che doveva essere ripulita. Non avrebbe dovuto lasciare spazio ai nuovi, ai puri e ai giovani?

Tosi si smarca

Tosi, ieri sera, durante una trasmissione televisiva, ha cercato di smarcarsi dando la responsabilità ai reggenti locali, liberi di scegliere il proprio candidato, ma l’imbarazzo era forte. Così come è successo a Treviso, con il sindaco-sceriffo Giancarlo Gentilini, per la prima volta non passa al primo turno con un misero 34%, lontano anni luce dal 50,4% del 2008 del sindaco-figlioccio uscente Gianpaolo Gobbo. Un esempio del sentimento leghista trevigiano: ieri, il quartier generale K3 di Villorba era completamente deserto, un vuoto che, per i leghisti storici, significa più di tanti commenti. Gentilini però potrebbe recuperare, ma solo se il centrodestra decidesse di ricompattarsi. Se invece va come al primo turno, dove né Bossi né Berlusconi si sono fatti vedere, sarà difficile che la Lega possa riprendere il suo potere.

E Maroni?

E Maroni? In questa campagna elettorale non si è visto e nemmeno da lontano ha mandato il suo sostegno. Eppure il Veneto esprime un presidente di Regione, due sindaci di capoluogo (Verona e Treviso), e un appoggio dal segretario federale poteva dare quella marcia in più utile ad evitare un dissanguamento di voti così doloroso.

Il rapporto tra Liga veneta e Lega Nord

Storicamente, si sa, tra Liga veneta e Lega Nord i rapporti sono sempre stati guardinghi. Due anime diverse, ma con una stessa radice federalista. Gli scandali degli ultimi tempi avevano però ricompattato i due fronti, con uno scopo preciso: fare pulizia per conquistare il potere. Tutti stretti attorno a Maroni, pronti addirittura a far passare come nulla fosse la modifica allo Statuto per cui presidente e segretario federale possono essere entrambi della stessa regione (in questo caso Lombardia). Zaia, Tosi, Salvini, Cota, la cosa importante era cancellare il cerchio magico, salvaguardando quel che rimane di Bossi senior.

In tutte le successive tornate elettorali, la Lega registra un calo di consensi sempre maggiore. Fanno eccezione la clamorosa conquista di Tosi a Verona al primo turno alle elezioni del maggio 2012 (con una lista civica e con un candidato dal Pdl come avversario) e la conquista di Maroni della Lombardia alle regionali del 2013, dopo aver fatto cadere l’impero formigoniano. Questi due traguardi erano riusciti a camuffare l’inesorabile perdita di consenso.

Questa tornata elettorale

Quella di oggi no, non è più camuffabile. La Lega ha perso, come ha perso Grillo. E Maroni non commenta, rimanda a venerdì, al consiglio federale che deciderà cosa fare anche in vista dell’imminente congresso che dovrà decidere chi tra Salvini e Tosi prenderà in mano il Carroccio.

Il risultato pare essere quasi scontato: mai un veneto ha preso in mano le redini della biga del Nord. Ma Tosi è l’unico che negli ultimi anni è riuscito a dimostrare di avere un consenso personale da poter far valere in sede congressuale. E’ l’unico che ha si è veramente ed esplicitamente opposto a Berlusconi e al Pdl, con una visione più ampia rispetto all’imminente, nella convinzione che senza il suo capo carismatico il Popolo della Libertà non esiste e che senza di lui morirebbe anche nelle macerie delle casse sempre più vuote.

Pulizia finita?

Salvini è l’espressione del maronismo, però è anche espressione di quelle scope rimesse immediatamente nello sgabuzzino dopo aver alzato un po’ di polvere: abbattuto Formigoni e conquistata la Lombardia ora non servono più. Lo spoil system che la Regione più produttiva d’Italia sta vivendo, nonostante l’accordo con il Pdl ci sia stato, è tipico da Lega di prima generazione. Tosi questi metodi li ha invece denunciati, in maniera forte e concreta, e ha fatto politiche al quanto stravaganti per la tradizione leghista dialogando, a livello locale, anche con le forze di centro.

La sconfitta veneta di Maroni

La sconfitta veneta, quindi, più che di Zaia e Tosi, sembra essere di Maroni, ma sembra anche essere parte di un altro disegno e il suo silenzio ne è la prova. Nella terra della Serenissima Bobo ha giocato il ruolo da fantasma, un gioco che sembra essere una mossa strategica per far valere la sconfitta dei veneti al prossimo consiglio federale, con lo scopo di spianare la strada al pupillo Salvini. E Tosi che farà? Si dice che stia lavorando a un’exit strategy dalla Lega e che nel frattempo stia studiando da futuro premier del centrodestra e che spera di scontrarsi con Renzi. La battaglia dei sindaci ha inizio, mentre inesorabilmente la Lega affonda.

Gaia Carretta

@piccolocarro



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