La produzione rimarrà stabile. Questa sembra essere l’unica certezza rispetto ai temi e alle decisioni che dovranno essere prese domani dall’assemblea dei Paesi Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries, Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio). Gli altri punti chiave – reintegrare l’Iraq nel sistema di quote Opec e nominare il nuovo segretario generale – sembrano poter accendere scontri più seri. Il player centrale? L’Iraq. E, più lontani, gli Usa.
I livelli produttivi
I delegati che si riuniranno a Vienna per la riunione Opec, che si tiene due volte l’anno, non si aspettano decisioni chiare. Escludendo inversioni a U, sottolinea il Financial Times, l’Opec, il cartello economico nato per negoziare con le compagnie petrolifere aspetti relativi alla produzione di petrolio, prezzi e concessioni, manterrà la sua produzione invariata a 30 milioni di barili al giorno. Ma la mancanza di linee guida chiare all’Opec nasconde due forti dibattiti interni che plasmeranno l’organizzazione dei produttori per anni. E l’Iraq è al centro di entrambi.
La lotta allo shale oil americano
Almeno sui livelli produttivi, la discussione non dovrebbe quindi essere troppo accesa. “A meno che, rigorosamente dietro le quinte, qualcuno tra i membri dell’Opec non suggerisca viceversa un forte aumento di produzione: una mossa del genere, che solo i Paesi del Golfo Persico sarebbero in grado di sostenere economicamente, potrebbe far crollare le quotazioni del greggio, spiazzando la concorrenza degli Stati Uniti – si legge sul Sole 24 Ore -“. L’estrazione di shale oil, il petrolio prodotto con nuove tecniche di trivellazione in grado di prelevare anche il greggio nei pori delle rocce impermeabili, è infatti “tra le più care del mondo: gli analisti di Sanford C. Bernstein stimano che il costo marginale dei produttori Usa si sia impennato l’anno scorso fino a 114 dollari al barile, dagli 89 del 2011. Per i produttori non Opec in generale il costo marginale tra il 2011 e il 2012 è salito da 92,3 a 104,5 dollari al barile. Non sarebbe più soltanto l’Opec, insomma, a volere prezzi a tre cifre”.
Lo shale oil Usa. Vera rivoluzione?
Ma c’è chi non confida troppo sulle potenzialità dell’oro nero americano. Un fenomeno che aumenterà solo “temporaneamente” la produzione. Così Andy Hall, il trader di petrolio considerato dagli operatori ‘Dio’, sulla rivoluzione americana dello “shale oil”. Hall è considerato – riporta il Financial Times – un guru del petrolio: le sue scommesse gli sono valse un salario di 100 milioni di dollari negli anni 2000 a Citigroup.
La politica aggressiva dell’Iraq
L’Iraq è stato ufficialmente escluso dal sistema di quote Opec dalla prima guerra del Golfo nel 1990-1991. Ma mentre la produzione è aumentata, l’Iraq si è mostrato troppo importante per essere ignorato. Con più di 3 milioni di barili al giorno, Baghdad è già il secondo produttore dell’Opec, e compete direttamente contro l’Arabia Saudita per conquistare quote di mercato nei mercati asiatici, dove Baghdad sta offrendo il suo grezzo Basra Light con uno sconto di circa un dollaro rispetto al prezzo imposto dagli arabi nei mesi scorsi.
Le fratture politiche
L’Iraq è stato costretto ad abbassare il prezzo del greggio per compensare con la sua qualità variabile, conseguenza di una rapida espansione della produzione. Una strategia commerciale che comincia a impensierire seriamente Riyadh, capitale dell’Arabia. E non solo per la concorrenza spietata sui mercati asiatici. I nervi scoperti, si sa, sono tutti politici.
Le attese degli analisti
L’Agenzia internazionale dell’Energia prevede un output per l’Iraq di 6 milioni di barili al giorno entro il 2020, il doppio di oggi. Per un’alleanza con l’Arabia Saudita, a questo punto, è solo questione di pazienza. “L’Iraq deve essere reintegrato nel sistema di quote dell’Opec. Il problema? Non so se dovrà scoppiare una guerra commerciale per far sì che succeda”, ha spiegato al Financial Times Amrita Sen, analista di Energy Aspects a Londra.
Il nuovo segretario generale
L’altra questione sarà vedere chi sarà il successore di Abdalla El- Badri come segretario generale dell’Opec. Il mandato del settantenne libico è già stato prolungato lo scorso anno, quando i membri dell’organizzazione non sono riusciti ad accordarsi su un nome condiviso per il suo successore.
Una nuova proroga?
Arabia Saudita e Iraq hanno appoggiato due candidati inaccettabili l’uno per l’altro. Anche il terzo, un iracheno, sembra causare il malcontento dell’Arabia Saudita a causa delle polemiche con Baghdad, aprendo lo scenario ad una nuova proroga per El Badri.