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Rcs, tutti i sì e no all’aumento di capitale

E’ cominciato il conto alla rovescia per l’attesa assemblea dei soci di Rcs, che giovedì 30 maggio sarà chiamata a esprimersi sull’aumento di capitale da 400 milioni di euro, indispensabile per salvare le sorti del gruppo editoriale ed evitare di fatto il fallimento. A prescindere dall’effettiva partecipazione o meno all’operazione, è fondamentale che all’assise la delibera sulla ricapitalizzazione venga approvata dalla maggioranza qualificata dei soci. E proprio qui sta il problema, se si considera che negli ultimi tempi i dissidi e le tensioni tra gli azionisti del gruppo che edita tra l’altro il Corriere della Sera sono cresciuti al punto tale da rendere incerto il via libera all’aumento di capitale.

La famiglia Pesenti scioglie la riserva sul voto
Chi ha sciolto in extremis la riserva sul voto sulla ricapitalizzazione è Giampiero Pesenti, che attraverso Italmobiliare partecipa Rcs al 7,42%, quota interamente apportata al patto di sindacato del gruppo editoriale, che a sua volta blinda poco più del 58% del capitale complessivo. “In assemblea ci saremo certamente, io non vado personalmente, ma la nostra disposizione è di votare sì perchè ritengo che la società abbia bisogno dell’aumento di capitale”, ha dichiarato Pesenti il 29 maggio. Nei mesi scorsi, la posizione della famiglia Pesenti era parsa in contrasto con la ricapitalizzazione soprattutto perché lo stesso Giampiero aveva abbandonato la presidenza del patto. Tuttavia, lo stesso imprenditore, in alcune dichiarazioni del 29 maggio, ha minimizzato, escludendo di essersi dimesso perché in disaccordo con gli altri soci: “È un discorso – ha detto – fatto non per dissensi interni alla società. Differenze di vedute esistono sempre e credo sono anche utili. Ma non c’è stato sicuramente un tale disaccordo per dare le dimissioni”. Tuttavia, a prescindere dal voto in assemblea, resta ancora da capire se Italmobiliare aderirà effettivamente all’operazione oppure no. In ogni caso, con il via libera al voto giunto da Pesenti, tutti i soci aderenti al patto di sindacato (al suo interno la parte del leone la fanno Mediobanca e Fiat, rispettivamente con il 13,7% e il 10,3% del capitale) sembrano al momento essere orientati a dare il via libera all’operazione in assemblea. A riguardo, va rilevato come anche Edison, azionista con l’1% nel patto, per bocca del proprio amministratore delegato, Bruno Lescoeur, si sia detta pronta a fare la propria parte per l’aumento di capitale.

Resta il nodo Rotelli
Per Giuseppe Rotelli, primo socio fuori dal patto con il 16,7% del capitale, resta invece la doppia incognita del voto e dell’adesione alla ricapitalizzazione, circostanza che lo rende il vero e proprio ago della bilancia dell’intera operazione. Come spiegato in un articolo di Repubblica del 29 maggio, lunedì pomeriggio il patron delle cliniche lombarde sembrava avere sciolto la riserva e intenzionato a non votare contro l’aumento da 400 milioni. Poi, in serata, il ripensamento, suggellato la mattina del giorno dopo da una dichiarazione rilasciata alle agenzie di stampa: “Nessuna decisione – precisavano fonti vicine all’imprenditore della sanità – è stata presa in merito all’aumento di capitale di Rcs”. Negli ultimi tempi numerose indiscrezioni sono circolate sulla posizione di Rotelli e le ultime lo davano in trattativa con Intesa Sanpaolo, finanziatrice e socia di Rcs al 4,93% (quota interamente apporta al patto), proprio per partecipare all’operazione con l’aiuto di Ca’ de Sass. La banca, si sosteneva, avrebbe potuto in parte finanziare e in parte acquisire azioni dall’imprenditore della sanità. Altre indiscrezioni dipingevano Diego Della Valle, azionista del gruppo editoriale con l’8,7% fuori dal patto e del tutto contrario all’aumento di capitale, in pressing su Rotelli con l’obiettivo di convincerlo a votare a sfavore dell’aumento e a non parteciparvi, senza escludere un interesse diretto di Mister Tod’s ai titoli in mano all’imprenditore ospedaliero. Tra l’altro, a dimostrazione di come le mosse di Rotelli siano imperscrutabili, secondo quanto risulta a Formiche.net, nessuna indicazione sul voto in assemblea sarebbe ancora stata trasmessa al Banco Popolare, cui fa capo un 3,63% del gruppo editoriale custodito da Ubs e i cui diritti di voto stanno in capo all’imprenditore della sanità. Al momento, oltre a Della Valle, è certo che contro l’aumento di capitale voterà anche la famiglia Benetton, socia al 5% e fuori dal patto.

Si lavora già per il dopo aumento
E se, da una parte, deve ancora tenersi l’assemblea dei soci sull’aumento, dall’altra, gli azionisti del gruppo editoriale guardano già oltre. Come riportato oggi dal Sole 24 Ore, sarebbero stati avviati i primi contatti per la fase successiva alla ricapitalizzazione. In particolare, sempre in base a quel che scrive il quotidiano di Confindustria, si sarebbe affacciata l’ipotesi di una riorganizzazione delle attività di Rcs che potrebbe passare per la separazione dei diversi business, quotidiani, periodici, libri, in modo funzionale a costruire alleanze ad hoc o ad agevolare eventuali cessioni. E proprio riguardo a quest’ultimo punto, tra i possibili acquirenti delle dieci testate dei periodici messe in vendita, come ultimo nome, è emerso quello di Daniela Santanché. Sembra, tuttavia, che la trattativa tra l’azienda e la “pasionaria” del Pdl difficilmente potrà chiudersi per la lontananza di vedute tra le parti. Se, infatti, l’amministratore delegato di Rcs sembra intenzionato a vendere tutte e dieci le testate in massa, Santanché, con il sostengo dell’ex compagno Canio Mazzaro, sarebbe invece propensa a rilevarne solo quattro.

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