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Ue, l’eterno dilemma dei britannici

Mi si nota di più se resto dentro l’Unione europea o se mi ritiro oltre lo stretto  della Manica? E’ questo il costante dubbio che accompagna la politica britannica fin dai tempi dell’adesione alla Ue. L’ascesa del partito euroscettico Ukip alle elezioni amministrative ha fatto riemergere tutte le diffidenze della perfida Albione rispetto al progetto di integrazione europea. Il sodalizio tra Londra e l’Unione europea era già nato sbilenco. Basta pensare a quando l’allora Premier John Major  ai tempi di Maastricht negoziò la clausola dell’opt britannico dall’euro, cioè la possibilità prevista dalla Ue di non partecipare alle strutture comuni in un determinato campo.  Oggi, per un numero crescente di cittadini britannici i taglia al welfare state, la disoccupazione e il malessere sociale sono colpa di Bruxelles e dei burocrati del Continente. Il primo ministro David Cameron si è prima mostrato indifferente davanti a questa nuova ondata di euroscetticismo, poi si è spaventato. Così ha deciso  di presentare una bozza di proposta di legge che apre la strada ad un referendum sulla Ue da tenersi nel 2017. “Il partito conservatore pubblicherà una bozza di proposta di legge per un referendum dentro o fuori l’Unione europea da tenersi entro la fine del 2017”.

Secondo analisti e commentatori è difficile pensare alla Gran Bretagna fuori dall’Unione europea soprattutto se si pensa alla strettissima interdipendenza economica che le lega le due sponde dello stretto della Manica.  Qualunque sia la decisione che assumerà Londra, a Downing Street dovranno tenere in grande considerazione quello che pensano gli Stati Uniti. “E’ di enorme importanza per gli interessi degli Stati Uniti che il Regno Unito continui a far parte dell’Unione europea”, ha detto Barack Obama. Per Washington, la partecipazione della Gran Bretagna alla Ue, rappresenta la garanzia che il Vecchio continente non prenda decisioni contrarie agli interessi americani.


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