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Berlusconi, ancora

“Feci un sogno all’ombra di un’estate giù in Vietnam
case bianche in una piazza rossa, so che sai
piangeva il mondo e intorno a lei
atomi, fiori e un mare in più
forse una guerra tornerà e tu
dovrai decidere chi sei”.  (Alberto Fortis, “Brian Francisco”, dall’album “El Nino”, 1984)

Berlusconi, ancora. Quando ti accorgi di non avere più libertà e che, detta libertà, sia il dono divino a cui ogni umano debba, naturaliter, aspirare? Semplice: quando te la tolgono.

E ancora: quando ti accorgi che la vita è il dono più grande, che non ha e mai potrà avere prezzo? Semplice: quando te la tolgono. In guerra, ad esempio, te la possono togliere, la vita, possono sradicarti dal suolo dei viventi e catapultarti là dove gli angeli e solo gli angeli osano addentrarsi, spesso furtivi.

E cosa accade quando, tolta la libertà di mezzo, è in questione – vexatissima quaestio – la vita stessa? Semplice: non esisti più.

Cosa è accaduto a Berlusconi, dopo la sentenza di cui si è scritto come di genere letterario evergreen? Proprio questo: ucciso nella cancellazione della libertà.

Senza prove. Senza impianto accusatorio. Senza testimoni d’accusa. Senza parti lese. Udite udite, non c’è niente. E infatti è il Niente di chi giudica – trattasi di nichilismo, sempre violento – a prevalere. Non è destra e neanche sinistra, ideologicamente parlando. E’ casomai sinisteritas, la mano sinistra di un dèmone merdiano che si attarda sul cadavere predestinato e forgia lo strumento per scarnificare l’io dal corpo vivo, così che non si dia più vita e il Nemico sia zero.

Zero. Proprio così. I Livellatori fanno così: azzerano.

il resto è l’impudenza della libertà, perfino con quel tanto di ismo mite e ragionevole che, quando siamo in forma, chiamiamo liberalismo. Apparato museale, ormai. Viva la Rivoluzione.

“Forse una guerra tornerà e tu dovrai decidere chi sei”. E’ tornata, Brian Francisco. Berlusconi, ancora.

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