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Bersani vaneggia sul Pd

Grazie all’autorizzazione dell’autore, pubblichiamo l’editoriale di Pierluigi Magnaschi comparso sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi del gruppo Class Editori.

Il celebre economista kennediano, John Kenneth Galbraith, scrisse che è naturale e inevitabile per chiunque entri «in una fabbrica, in una scuola, in una caserma e persino in una casa di piacere, chiedere chi comanda lì». E se «chi comanda lì» è uno che è rispettato dai suoi collaboratori, quel capo è sicuramente uno dotato di carisma.

Questa precisazione potrebbe sembrare di lana caprina, cioè immotivata e stravagante, se non fosse collegata alla linea politico-gestionale (che poi vedremo quanto, nei fatti, sia platonica) di una componente molto importante del Pd. Quella che fa capo a Pier Luigi Bersani che, probabilmente perché obnubilato dalla figura di Berlusconi, ritiene che un partito possa (anzi, debba) fare a meno di un capo carismatico, in grado di guidarlo. Per Bersani infatti il partito va pilotato collettivamente, facendo affidamento su tutti gli iscritti.

Questa supposta governance bersaniana è in palese contrasto, non solo con tutte le pratiche gestionali di successo e con la concreta esperienza maturata in tutti i partiti liberi dell’Occidente democratico e maturo; ma persino con la gestione concreta del partito da parte di Bersani stesso, durante il periodo in cui lui ha avuto la responsabilità del Pd come suo segretario nazionale.

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