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Bossi e Pannella, nei partiti-famiglia c’è solo un padre

“Lui non ha in nostri ideali”. Sono le parole del fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, il padre di tutti i padani che in un’intervista a Gad Lerner, pubblicata su Repubblica di oggi, si toglie parecchi sassolini contro Roberto Maroni, suo successore alla guida del Carroccio.

Più che sassolini, dei macigni quelli che si è tirato fuori Bossi con Lerner. E pure il fatto che fosse proprio lui ad intervistarlo non pare essere una scelta casuale. Era stato Lerner tra i primi a prendere sul serio la Lega, a farla conoscere dalla piazza televisiva di “Milano Italia” e ad avvertire dei pericoli che questo piccolo partito regionale poteva portare all’unità del nostro Paese.

A quei tempi si parlava di secessione, di divisione tra Nord e Sud Italia per consentire alla gente del Nord, quella che lavora e che produce, di levarsi la zavorra del meridione-succhia-denaro. Facevano paura quelle parole, perché minano alla Costituzione, all’Unità d’Italia, alla pace, all’Europa del manifesto di Ventotene.

Nel dicembre del 1989 si tiene il primo raduno di Pontida. Nel 1992, alle elezioni politiche, la Lega guadagna 55 seggi alla Camera e 25 al Senato, un numero che consente ai parlamentari di creare gruppi autonomi e di avere anche un’indipendenza economica.

E sembra essere la cassa l’unica vera protagonista di ogni grande storia d’amore politica della Seconda Repubblica, una storia in cui i partiti sono fatti di idee e di persone, non più di ideali e valori, crollati con la caduta del muro di Berlino. Si parla di progetti, di obiettivi, di battaglie. E la Lega ne è la rappresentazione più palese: il popolo del Nord deve avere ciò che gli spetta e non continuare a pagare per il Sud. Attorno a Bossi si radunano le camicie verdi di tutti il Nord, attorno al suo padre fondatore, a colui che con la moglie, Manuela Marrone, ha fondato, finanziato e fatto crescere il partito che considera il suo primo figlio, concepito ai tempi dell’università, davanti ad un manifesto federalista dell’Union Valdotaine con il suo amico Bruno Salvador.

Con le poche risorse a disposizione e con la passione vera, Bossi mette in campo tutte le sue forze per far cresce la sua creatura, che oggi stenta a riconoscere in quello slogan usato da Maroni per le Regionali in Lombardia “Prima il Nord”, che con un solo gesto ha tolto il verde e ha cancellato la Padania. Ma a quale prezzo ha vinto il figlio ripudiato? Bossi lo dice a Lerner:  “Il mio colpo di genio con cui avevamo preso la guida di Veneto e Piemonte, con Zaia e Cota, di questo passo al prossimo giro ce lo sogniamo”.

Bossi lascia intuire che per Maroni sarebbe solo una questione di opportunismo personale, perché la Lega “la sta distruggendo” e “quando uno tradisce una volta, tradisce sempre”.

Ma gli scandali c’erano e i quei soldi esistono. I Bossi hanno creato attorno alla Lega una sorta di Spa, come si fa nelle piccole attività commerciali, in cui il bilancio del negozio corrisponde al bilancio famigliare, entrate e uscite dei figli comprese.

Ma qui si tratta di soldi pubblici ed è l’anomalia del sistema di oggi, in cui i partiti non esistono più. La democrazia interna dall’elezione degli organi, ai bilanci approvati nei congressi, al dibattito sui valori e sugli ideali, è roba superata.

Il finanziamento pubblico è stato abolito da un referendum ed è stato camuffato dal rimborso elettorale, legato ad un simbolo, posseduto da una persona fisica. Come succede per i radicali e per Pannella: una storia politica opposta, ma non così distante.

I radicali, già dagli anni ’70 con le battaglie per il divorzio, l’aborto, il servizio civile, sono stati i primi a credere in obiettivi precisi, nella caduta degli ideali, nelle lotte per le libertà individuali. Sono stati i primi, nonostante la distribuzione in piazza delle 50 mila lire, a presentarsi con un nome nel simbolo: la Lista Marco Pannella. E i rimborsi vanno tutti lì. Negli anni delle battaglie vere, quando non esisteva rimborso pubblico, i soldi arrivavano dal buon cuore della gente e anche via della Panetteria a Roma, abitazione storica del leader radicale, era stata ipotecata per finanziare le campagne. Oggi, tutte le entrate hanno un unico ingresso e l’unico proprietario di quell’ingresso, il simbolo, è proprio Pannella.

Chi ha la cassa decide ed è ciò che ha sempre fatto Pannella, nonostante il segretario eletto fosse un altro, Daniele Capezzone docet. Ma Bossi, indebolito fisicamente e dai suoi figli (quelli veri) non ci è riuscito. Pannella non ha figli e chi non è d’accordo se ne va, perché se vuole portare avanti un progetto gli vengono tagliati i viveri e non ha le forze per poter contrastare le decisioni del capo, cioè di colui paga. Ed è il difetto di quei partiti che si reggono sul carisma di un unico uomo, che inesorabilmente finisce per mangiare i suoi figli (quelli politici), oppure ad esserne fagocitato.

Oggi nella Lega lo scontro è aperto e proprio sui soldi. Maroni, dopo la disfatta in Veneto, vuole eliminare anche le ultime scorie di bossismo rimaste dentro al Carroccio, prosciugando ogni risorsa destinata a quel coté, famiglia Bossi compresa. Ma il leone, come lo chiama Pannella, è solo indebolito e non ha alcuna intenzione di lasciare la sua creatura nelle mani di un “traditore”. Alla fine, si sa, non vincerà.


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