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Ecco perché il Brasile può essere la nuova Turchia

“I nostri 20 centesimi sono gli alberi di Gezi Park”. Con questo slogan migliaia di brasiliani, organizzati soltanto attraverso le reti sociali, si sono dati appuntamenti ieri sera in otto città per manifestare. La calma sembrava essere tornata in Brasile, anche dopo il fischio iniziale della Confederation Cup, ma forse è stato soprattutto quell’evento che segna l’arrivo dei Mondiali di calcio tra un anno, ad accendere di nuovo gli animi. Per il resto, c’è stata comunicazione via Facebook e Twitter.

I mille e un motivo della protesta

È vero che il servizio dei mezzi pubblici di Sao Paulo è tra dei più costosi e inefficienti del mondo. Secondo il quotidiano Folha de Sao Paulo, che fa riferimento al calcolo di due economisti della Fondazione Getúlio Vargas, mentre a Madrid un pendolare deve lavorare 6,52 minuti per pagarsi il biglietto, a Sao Paulo deve lavorare quasi 14 minuti.

Ma le proteste non sono solo a causa di quei 20 centesimi. E neanche per l’organizzazione dei Mondiali di calcio e i Giochi Olimpici del 2016. La rivista brasiliana Veja ha lanciato oggi una provocazione nella copertina: “Dopo i prezzi dei biglietti, arriverà il turno della corruzione e della violenza?”. Sembra però che la protesta in Brasile abbia già mille volti: c’è chi protesta contro i casi di corruzione e la violenza della polizia, chi per la difesa dei diritti degli indigeni, chi per i diritti civili degli omosessuali. Nelle manifestazioni c’erano persino cartelloni con la richiesta: “Libertà per Julian Assange”. Come in Turchia, i 20 centesimi del biglietto di trasporto pubblico sono solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

La più grande manifestazione nel Brasile democratico

È dai tempi dell’ultima dittatura brasiliana (1964-1985), quando il popolo chiedeva libertà democratiche, che non si vedeva una protesta così grande in Brasile. Ad agosto del 1992 c’era stata una manifestazione a favore del processo politico contro il presidente Fernando Collor de Mello, ma molto più ridotta.

A Rio de Janeiro hanno manifestato 100mila persone, 65.000 a São Paulo e centinaia a Brasilia, Maceió, Porto Allegre, Fortaleza, Salvador, Vitória, Curitiba, Belém e Belo Horizonte. Si calcola che circa 240.000 cittadini, senza leadership né movimento dominante, chiedono un cambiamento in Brasile.

A Rio de Janeiro, un gruppo di manifestanti è entrato nell’Assemblea legislativa, mentre in Brasilia altri manifestanti sono entrati nel Congresso Nacional. A Porto Alegre, sede storica del Foro Social Mundial, la polizia ha dovuto lanciare lacrimogeni, ma è stato a Sao Paulo che si è registrato il maggiore numero di feriti.

La calma di Dilma

Il presidente del Brasile, Dilma Rousseff, considera le manifestazioni legittime. Attraverso un comunicato, Rousseff ha detto che segue da vicino la situazione insieme al ministro degli Interni, José Eduardo Cardozo, ma crede che le proteste pacifiche siano segno di una sana democrazia. Il presidente sostiene che la maggior parte dei manifestanti sono studenti e si sono organizzati grazie ai social network. Rousseff ha vissuto la repressione e le torture dell’ultima dittatura ed era una dei leader delle proteste.


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