Per la Banca dei regolamenti internazionali il culmine della crisi è passato. Ma per tornare ad una crescita forte e sostenibile, secondo l’istituzione che ha sede a Basilea, serve rigore sulle finanze pubbliche e riforme strutturali dell’economia, e per l’Italia, ridurre la spesa. Le politiche di allentamento monetario delle banche centrali, che devono pensare ad un’exit strategy, sono servite solo a guadagnare tempo, una tregua che ora la politica rischia di sprecare. La ricetta segreta, secondo la Bri, resta solo una: “I governi devono raddoppiare gli sforzi sui conti pubblici”.
Le riforme necessarie
La Bri non da’ ricette specifiche all’Italia ma rileva come una cura fatta di liberalizzazioni, riforma del mercato del lavoro (non nel senso di una mera flessibilità) e ricomposizione del bilancio potrebbe arrestare e invertire la spirale della crescita del debito pubblico e della disoccupazione nei paesi avanzati con forti rigidità in questi campi. Dalla lotta alle lobbies nelle professioni o nel commercio potrebbe arrivare una crescita di 3 punti all’occupazione ad esempio. Ma tutti sono chiamati a fare la loro parte. Gli organi di regolamentazione devono adeguare le regole a un sistema finanziario sempre più interconnesso e assicurare che le banche si dotino di risorse commisurate ai rischi.
Debito e tassazione
D’altra parte il debito record e in “continua crescita” rappresenta una “vulnerabilità” per i conti pubblici italiani. “Dato il ridotto spazio di manovra” lasciato dall’elevata pressione fiscale, non resta che “lavorare per ridurre la spesa”. Nella sua relazione annuale, la Banca dei regolamenti internazionali sottolinea anche che in questa fase la “tassazione sugli immobili e quella indiretta sui consumi risultano meno distorsive di quelle su lavoro e imprese” e anche “i tagli ai trasferimenti sociali producono danni minori alla crescita rispetto alla riduzione dei consumi”.
Stop all’allentamento monetario per guadagnare tempo
E contestando un’altra argomentazione dei fautori della linea morbida, la Bri esorta esplicitamente le Banche centrali ad orientarsi verso lo studio delle opportune strategie di uscita dalle misure anticrisi tenute negli anni passati. Ogni giorno che passa “appare sempre meno verosimile” che le banche centrali possano, come nella celebre frase pronunciata dal presidente Bce Mario Draghi nel luglio 2012, fare “tutto il necessario” non solo per scongiurare (come in quel caso) il tracollo finanziario ma anche per “riportare economie ancora stagnanti alla crescita”. Quella frase, sottolinea la Bri, è “diventata il motto di chi vuole che le banche centrali proseguano con le misure straordinarie” ma queste “non possono risanare i bilanci delle famiglie e delle banche, non possono garantire la sostenibilità dei conti pubblici e non possono attuare soprattutto le riforme”, condizione indispensabile per far ripartire la crescita sostenibile. Le politiche di allentamento delle banche centrali durante la ripresa sono state un modo per “prendere in prestito” tempo: Ma ora questo tempo deve essere usato saggiamente, avverte l’istituzione, perché il saldo fra costi e benefici “si sta deteriorando”.
Le banche centrali quindi devono ritornare al loro ruolo originario: la stabilità dei prezzi e quella finanziaria. Presto o tardi rileva la Bri la “droga” dei tassi quasi a zero e degli acquisti massicci di bond dovrà finire, come già ha iniziato a fare la Federal Reserve statunitense e per alcuni, come i possessori di bond, saranno dolori. Le perdite da un rialzo dei tassi del 3% raggiungerebbero i 1.000 miliardi per quelli Usa e fra il 15 e il 35% del Pil per Gran Bretagna, Francia e Italia.
Le banche italiane in cattive acque
Nell’area dell’euro le tensioni sui debiti pubblici “hanno compromesso la qualità degli attivi” delle banche, mentre il ristagno dell’economia ne ha abbassato i ricavi. “Sono cresciute le sofferenze, specie presso le banche italiane e spagnole, portando a un brusco aumento degli accantonamenti per perdite su crediti“.
Nel 2012 le banche italiane monitorate, tre, sono state le uniche a registrare come insieme un livello negativo di utili al lordo delle imposte, un meno 0,06 per cento rispetto agli attivi totali. Gli accantonamenti sulle perdite hanno raggiunto lo 0,95 per cento degli attivi, ma in questo caso il dato più elevato è quello della Spagna con un 1,49 per cento.
Le spese per invecchiamento
Unica nota positiva, l’Italia è tra i paesi con il minor bisogno di correggere i conti pubblici da qui al 2040, tenendo conto delle spese legate all’invecchiamento della popolazione, secondo quanto emerge dal rapporto annuale della Bri, che contiene una tabella proprio sul fabbisogno di risanamento dei paesi sui periodo 2014-2040. Effetto della politica lacrime e sangue dell’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero?
In Italia serve una correzione pari a 4 punti percentuali di Pil, il terzo dato più basso tra i Paesi avanzati dopo Svezia (1,3 punti) e Germania (3,4 punti). La Francia ha bisogno di correggere i conti per 5,4 punti di Pil, prosegue la Bri, la Spagna per 10,4 punti, la Gran Bretagna per 13,2 punti e gli Usa per 14,1 punti. Maglia nera il Giappone, che avrà bisogno di una correzione da 14,9 punti.