Che Papa Francesco, prima o poi, avrebbe parlato di etica, e nello specifico della sacralità della vita umana, era scontato e, da molti, anche atteso.
E, come sempre, Francesco lo ha fatto a modo suo, in occasione della messa in San Pietro per le celebrazioni della Giornata dell’Evangelium Vitae, l’enciclica scritta da Giovanni Paolo II nel 1995. “Sì all’amore e no all’egoismo – ha rimarcato il Pontefice – diciamo sì alla vita e no alla morte, diciamo sì alla libertà e no alla schiavitù dei tanti idoli del nostro tempo, in una parola diciamo sì a Dio, che è amore, vita e libertà, e mai delude”. Vi è certamente differenza con la logica alta e diretta di Benedetto XVI, che legava l’aborto e l’eutanasia alla minaccia della pace, o con la retorica schietta di Giovanni Paolo II, secondo il quale con l’aborto “ci troviamo di fronte ad un’enorme minaccia contro la vita, non solo di singoli individui, ma anche dell’intera civiltà; ci troviamo di fronte a quella che può definirsi una struttura di peccato contro la vita umana non ancora nata” (Evangelium Vitae, n.59). Ma quello che conta è la sostanza e il messaggio di completezza e continuità che, sempre parafrasando in positivo, Papa Bergoglio riesce a trasmettere a credenti e non credenti. Come quando, parlando dei Dieci Comandamenti, tra i quali il sesto è proprio “non uccidere”, sottolinea che essi “non sono un inno al no: non devi fare questo, non devi fare questo… sono un inno al sì, a Dio”. Perché, ancora, Dio il Vivente è misericordioso e “Gesù accoglie, ama, solleva, incoraggia, perdona e ridona la vita”.
Si tratta di posizioni sulle quali Francesco, a partire da questi primi cento giorni di pontificato, sta costruendo il suo magistero, e che in buona parte aveva espresso anche in occasione della terza edizione della Marcia per la Vita, il 12 maggio scorso, quando aveva richiamato l’attenzione di tutti sul “rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento”, provocando, come da copione, le reazioni piccate da parte degli esponenti del mondo laico e del partito radicale in particolare.
Una reazione prevedibile e, per certi versi, auspicata da alcuni commentatori e conoscitori del mondo vaticano, se non altro per marcare una differenza con le posizioni di quella cultura laica, innamoratasi improvvisamente del nuovo vescovo di Roma. Tra gli altri, Vittorio Messori, scrittore cattolico tradotto in tutto il mondo, intervistatore di due pontefici, il quale si era detto “certo che questa cultura e questo clericalismo agnostico, ateo che tracima da tutti i media, questa luna di miele sarà presto bruscamente interrotta quando comincerà a parlare sul serio, per esempio di etica, di morale e così via”.
La difesa della vita in ogni suo istante, è il ragionamento di Francesco, deve essere al centro dell’azione della Chiesa e riguarda tutti: i nati, i non nati, i malati, ma anche coloro che vivono situazioni di precarietà, instabilità e di “periferia esistenziale”. Tema, quest’ultimo, affrontato già dall’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio nella sua relazione alle Congregazioni generali del pre-conclave – secondo la rivelazione del porporato de L’Avana Jaime Lucas Ortega y Alamino – e che sarebbe all’origine da parte dei cardinali conclavisti di far ricadere infine la loro scelta proprio sul prelato argentino.
L’Evangelium Vitae è uno dei documenti magisteriali della Chiesa più importanti relativamente alla tutela della dignità della vita umana, in ogni suo aspetto, e ai cosiddetti principi etici non negoziabili, ponendosi in collegamento diretto con l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI (1967), ma toccando anche elementi relativi a fattori culturali e sociali, espressi nella Rerum Novarum di Leone XIII (1891), compreso quello del lavoro e della povertà, oggi sul tavolo dei governi europei e del mondo, in cerca di soluzioni concrete contro la disoccupazione, soprattutto giovanile.
A denunciare “una laicità male intesa” e sul pericolo che anche il mondo cattolico italiano scivoli verso atteggiamenti di indifferenza rispetto ai temi della vita e della morte, è intervenuto nella giornata di ieri il cardinale Camillo Ruini, capo della Cei dal 1991 al 2007, grande tessitore dei rapporti tra la Chiesa cattolica e la politica italiana, soprattutto negli anni del pontificato wojtyliano, e oggi ecclesiastico ancora tra i più ascoltati e influenti nel panorama nazionale. “E’ un problema grave – ha detto il porporato di Sassuolo, aprendo la Giornata di celebrazioni per l’enciclica – lo scarso senso di appartenenza ecclesiale” nel momento in cui ci si esprime in sede legislativa. L’uccisione di un innocente, ha ricordato, “è sempre gravemente immorale”, e “l’eutanasia, come azione e omissione, è una grave violazione della legge divina”.
Altrettanto netti sono stati il cardinale Raymond L. Burke, prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica che, attaccando la “cultura della morte che avanza per la mancanza di attenzione e informazione tra la gente”, ha sostenuto come “le leggi che violano il diritto alla vita di persone innocenti non possano essere valide in quanto tali”; e il cardinale Elio Sbreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, che ha aperto lo sguardo su quanto avviene a livello internazionale. “Nel mondo, ha detto in una intervista a Radio Vaticana, ogni anno si praticano – con l’approvazione della legge – dai 45 ai 50 milioni di aborti, e adesso si fa pressione sull’eutanasia, specialmente l’eutanasia neonatale”.
Una tendenza che sembra prendere piede anche in Europa. Secondo la ricostruzione di Isabella Bossi Fedrigotti sul Corriere della Sera del 15 giugno, in Belgio sarebbe al vaglio una proposta di legge per estendere l’eutanasia anche ai minori, giudicati in grado di “decidere ragionevolmente dei propri interessi”; mentre l’Olanda, dove l’eutanasia è autorizzata per legge da dodici anni, è alle prese con la proposta dell’associazione dei medici per poterla applicare anche ai bambini piccoli, affetti da malattie o malformazioni mortali. Legislazioni che, quindi, se approvate, in nome della libertà (dei genitori, a questo punto), renderebbero ardua l’individuazione di un limite da non varcare e potrebbero aprire la strada alla cosiddetta “selezione della specie”, sulla base di convenienze, interessi e preferenze personali.
Proprio quegli idoli attaccati oggi da Papa Francesco, perché solo “Dio è amore, vita e libertà”. Tutti insieme, senza distinzioni.