Dice il saggio maestro Yoda, (personaggio della saga di Star Wars) uno che di cinema ne sapeva qualcosa: “Fare. O non fare. Non c’è provare”.
Questa è esattamente la formula cui l’industria audiovisiva del momento, se di industria possiamo ancora parlare, dovrebbe prestare attenzione. Anche ai frequentatori occasionali delle sale cinematografiche sarà ad esempio accaduto di ritrovarsi di fronte a un prodotto che di cinematografico non aveva proprio niente, se non il costo del biglietto. Sarà forse dovuto al fatto che qualcuno “ci ha provato”, cercando di imporre una concezione vecchia e sbagliata all’origine, piuttosto che seguire la richiesta del nuovo pubblico, presentando pellicole che sembravano concepite più che altro per il mercato televisivo, dove poi lo stesso prodotto viene effettivamente gettato a peso morto.
Quel qualcuno ha utilizzato un canale di comunicazione errato a prescindere, non si è reso conto che il contenuto audiovisivo, ormai da qualche decennio, risulta perfettamente scollegato dal medium per il quale è stato pensato, su cui si è preteso di farlo circolare.
I dispositivi oggi presenti sul mercato modificano e assommano le loro funzioni di schermi, sono cannibali capaci di rendere labili, illusori, i confini della materia fisica, degli oggetti che provano stancamente a contenerli. Gli schermi non si limitano a rendere disponibili i contenuti audiovisivi in ogni luogo, a ogni ora, secondo le richieste dei consumer, ma sono da questi stimolati attraverso un rapporto che è sempre più visivo, sempre più tattile.
Si dibattono in un corpo atrofizzato che trattiene a stento le pulsioni di un contenuto vibrante, concepito per un riutilizzo che modifica la sua forma, lo seziona reinventandolo. E da parte sua, il contenuto non necessita più di alcun supporto materiale, rifiuta la costrizione nell’oggetto, il limite enunciato.
Succede infatti che il cinema per come noi lo conosciamo non si è estinto, come in molti vogliono farci credere, è semplicemente migrato in altre zone, altri schermi, che vivono di approcci diversi del pubblico al prodotto.
La ricerca costante e l’impegno spontaneo che molti giovani filmmaker stanno ad esempio esprimendo nella realizzazione di prodotti davvero cinematografici, ha rapidamente spostato l’ago della bilancia a favore di cortometraggi, lungometraggi, documentari, videoclip, videoinstallazioni che per troppo tempo sono rimasti inosservati dalla sedicente industria cinematografica.
Le spelonche urbane dei cinema d’essai, i laboratori del visivo, gli schermi intorno a noi – tanti, mutevoli, ossessionanti – esprimono con energia crescente i principi primi del prodotto cinematografico con maggiore forza di quanto stiano provando a fare le più importanti case di produzione italiane.
La chiave d’interpretazione offerta dal maestro Yoda, quella di buttarsi senza timore nel cuore dell’azione, nell’essenza stessa dell’immagine in movimento, è stata invece recepita da una generazione di videoinnamorati che meglio dei produttori stessi percepivano la realtà visiva intorno a loro, perché di questa è fatta la loro conoscenza di base, potremmo dire addirittura il loro organismo, dalla nascita.
Poco importa che quell’universo onirico sia stampato su celluloide o fruito nell’ambito di un affollato multisala di periferia, poco importa il formato stesso su cui l’immagine è congelata, quel che conta è l’esistenza stessa di quella immagine, oggi in via d’estinzione, che apre gli occhi al sogno di una realtà trascendente.
Ci si domanda spesso se esistano formule magiche per rilanciare l’industria del cinema, eppure in pochi si accorgono che le geometrie del nuovo linguaggio sono già presenti nei pubblici intorno a noi. Minuscole sale metropolitane ospitano di continuo festival del nuovo cinema, rassegne, retrospettive dove il concetto di cinema diventa legge non scritta. Lo dimostrano le file all’ingresso di giovani e giovanissimi che se da un lato sono abituati a fruire gratuitamente attraverso la rete internet delle serie tv americane che preferiscono – senz’altro più vicine al concetto di cinema dello stesso cinema italiano – dall’altro sono disposti a pagare il giusto per avere l’opportunità di vedere su grande schermo un prodotto davvero meritevole, sia esso un cortometraggio del loro migliore amico “fissato” con Quentin Tarantino, o un’opera di denuncia del sistema politico che li governa.
Il vero cinema segue il consiglio del maestro Yoda premiando chi fa, non chi prova, magari senza neppure una strategia precisa, a rimanere a galla puntando sul mantenimento del potere acquisito negli anni del boom economico. È il momento di urlare a chi non se n’è accorto che il cinema è finalmente tornato al suo posto, tra la gente, dov’era nato ormai più di un secolo fa.
Piero Balzoni
Regista, scrittore, Ph. D. in Scienze della Comunicazione