Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi uscito oggi sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Il governo di larghe intese si è ben guardato dal metterlo nel suo programma di riforme. Nonostante la disoccupazione giovanile veleggi intorno al 40%, la produttività sia da ultimi della classe nell’Eurozona e nell’Ocse, la recessione sia quasi senza fine e nonostante le tante riforme già varate dagli altri paesi in crisi della Ue, tutto ciò nonostante neppure un governo di grande coalizione è in grado di affrontare e riformare la legislazione in uscita dal mercato del lavoro.
Eppure l’anomalia italica, già evidente nel 2007, è oggi post crisi un’abnormità globale. «Nel resto del mondo gli uffici delle risorse umane svolgono due funzioni chiave per la competitività delle aziende: hiring and firing (assumere e licenziare). Solo in Italia, invece, la loro funzione è diversa: hiring and retiring (assumere e pensionare)», mi faceva notare qualche tempo fa un manager olandese disorientato dalla specificità giuslavoristica italiana. Ormai l’art. 18 e tutto ciò che lo riguarda appaiono come un qualcosa di inspiegabile anche agli occhi dei molti welfaristi e socialisti olandesi o scandinavi. Un lusso di un paese che non vuole prendere atto che il mondo è cambiato e che rifiuta di accettare il fatto che, per conservare più posti di lavoro possibili e crearne molti nuovi, le imprese devono essere messe nella condizione di decidere e di agire nella gestione del capitale umano. Pena un’economia ristagnante, una bassa produttività, una protezione eccessiva a vantaggio di chi è meno produttivo e a svantaggio di chi potrebbe invece offrire molto.
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