Smart city si può fare ma non basta. Serve una città intelligente e città intelligente non è traducibile in smart city. È riduttivo. Per spiegarci meglio, proviamo con una domanda: chi, al governo di questa città, può restarsene con le mani in mano a guardare mentre i cittadini fuggono via in cerca di fortuna? Il tema è esattamente questo.
Una città intelligente è una città che trattiene sul proprio suolo persone di buona volontà che tutto quello che vogliono è fare bene ed esser messe nelle condizioni di poterlo fare nella città in cui sono nate. È una città che attrae da altre città e da altri Paesi. Di sicuro, non è una città che permette ai propri cittadini di andarsene altrove in cerca di fortuna e che respinge chiunque abbia la bizzarra idea di trasferirvisi per vivere e lavorare.
Una città intelligente è una città che ha una visione di sé. La stessa città che anni di non governo hanno reso grottesca. Per qualche turista, pittoresca. Che rischia di ammuffire sotto il peso di millenni di cultura se la cultura non diventa la chiave per il benessere, la realizzazione delle aspirazioni dei cittadini e lo sviluppo delle imprese. Solo per fare un esempio del quale posso rendere conto direttamente in quanto componente uscente del consiglio di amministrazione dell’Azienda Speciale Palaexpo.
Dal 2008 ad oggi il Palazzo delle Esposizioni è passato da 236.000 visitatori incrementali a 356.000, le Scuderie del Quirinale da 278.000 a 382.000. Totale più di un milione di visitatori l’anno. La qualità della programmazione è rimasta elevata con una grande visibilità internazionale. I costi di gestione sono diminuiti del 18% e l’autofinanziamento è cresciuto del 51%. Le parole non servono. Parlano i fatti. Merito di una struttura composta da persone competenti e capaci di immaginazione e, non dico tanto, di un pizzico di coraggio. Se amministrata bene, la cultura può fare molto per la città e può rappresentare un importante motore di sviluppo e di lavoro su cui puntare per mostrare al mondo intero quello di cui le persone che vivono a Roma sono capaci.
Ma la cultura per quanto importante, da sola non basta.
È necessario ragionare sulle strategie di sviluppo territoriale in relazione tanto alla dimensione storico-culturale, quanto geografica, creativa e innovativa anche in rapporto al web ed alla tecnologia digitale. Occorre riorganizzare le funzioni tipiche di una capitale a naturale vocazione internazionale affinché divenga città globale. Combinare innovazione allo sviluppo, sostenibilità, occupazione e coesione per riprendere il contatto con gli elementi essenziali della reinvenzione urbana. Mettere in contatto le persone, le une con le altre. Creare conoscenza. Condividere conoscenza. Connetterla con il tessuto urbano per ricucire lo strappo tra centro e periferia. Basti pensare al rapporto della città con il litorale. Continuare a trattare il rapporto tra Roma ed il mare come una questione locale è da pazzi. Sviluppare la città sul mare significa eliminare le barriere tra centro e periferia. Presentare al mondo una città accessibile e piena di opportunità per chi ci vive e per chi viene da fuori.
Insomma su Roma manca una visione. Occorre fissare il punto. Stabilire che tipo di città vogliamo. Capire qual è il punto di partenza. Chiarire se, andando in quartieri e borgate ai margini non solo della città ma anche della società, vogliamo ancora guardare in faccia una bimba cresciuta in un palazzo occupato e riscaldato a bombole e mentire sapendo di mentire dicendole che il futuro è dietro l’angolo. Oppure, se vogliamo provare a cambiare.
Roma ha ferite dolorose che possono rimarginare. Può offrire opportunità incredibili come nessuna. Probabilmente, per cambiare basta volerlo. Quanto meno provarci.
Ritengo che il neo eletto Ignazio Marino stia iniziando a lavorare in questa direzione. Le attese sono grandi e, se saprà circondarsi di persone veloci e capaci di coltivare un sogno lucido con competenza, buona immaginazione e coraggio, potrà avviare una stagione di rinnovamento della città attraverso un buon governo all’altezza delle aspettative di chi lo ha votato, rispettoso di chi non lo ha votato, e vicino ai romani che per comprensibile protesta o perché disillusi, sfiduciati e abbandonati per troppo tempo alla solitudine dei propri problemi, hanno scelto di non andare a votare.
Migliorare la vita di chi abita a Roma significa saper dare una prospettiva. Rispondere ai bisogni ed alle aspettative dei cittadini coinvolgendoli, bottom up, nella guida delle maree del cambiamento urbano.