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Datagate, ecco perché la Cina gongola per la fuga di Snowden

La partenza di Edward Snowden da Hong Kong ha forse evitato un nuovo e complicato tema di scontro tra Washington e Pechino. L’opinione degli esperti sulla stampa internazionale guarda alle conseguenze di lunga durata del caso dell’ex tecnico Cia, fonte delle rivelazioni sui sistemi di spionaggio statunitensi che prima di volare per Mosca e forse dopo in America Latina aveva scelto l’ex colonia britannica come nascondiglio.

Se la richiesta di estradizione statunitense fosse stata accettata e il 29enne ex consulente dell’agenzia per la sicurezza Usa e talpa del caso Datagate non si fosse imbarcato ieri sul volo Aeroflot che lo ha portato in Russia, la battaglia legale a Hong Kong sarebbe potuta durare anni.

Un altro punto di scontro oltre i temi economici e della sicurezza informatica, prima con le accuse statunitensi di attacchi cinesi verso agenzie governative e aziende, ora con le rivelazioni di Snowden sullo spionaggio Usa contro università e reti di telefonia mobile cinesi.

Forse per questo, come raccontato dall’avvocato di Snowden a Hong Kong, Albert Ho, un intermediario lo ha esortato a lasciare l’ex colonia britannica con la ragionevole possibilità, ha spiegato il legale, che dietro le raccomandazioni dell’uomo ci fossero le autorità cinesi.

Il caso Snowden è stato considerato un banco di prova per la formula “un Paese, due sistemi” che regola i rapporti tra la Cina continentale e l’ex colonia britannica. Hong Kong gode di ampia autonomia, eccetto che per le questioni della difesa e di politica estera. Negli ultimi anni si è tuttavia accentuata l’influenza di Pechino sul governo locale.

Nella prima intervista rilasciata dopo la pubblicazione delle inchieste del Guardian e del Washington Post sul materiale da lui fornito, l’ex consulente ha detto di aver scelto la città per la tradizione nel rispetto della libertà d’espressione. Intervenuto sull’emittente Russia Today, il giornalista brasiliano di base nell’ex colonia e l’inviato speciale dell’Asia Times, Pepe Escobar ha detto che secondo alcune sue fonti l’idea della partenza verso un’altra destinazione era sin dal principio il piano di Snowden. Oggi la portavoce del ministero degli Esteri cinesi ha detto che Pechino rispetta la volontà di Hong Kong.

Per il South China Morning Post: non ci sarebbe potuta essere una soluzione migliore per la Cina e per la città. Regina Ip, ex segretaria alla Giustizia e deputata vicina alle posizioni filo pechinesi, ha invece spiegato al New York Times che, nonostante il disappunto statunitense, la decisione è stata presa nel rispetto delle leggi. A gongolare è la stampa nazionalista.

Il Global Times, come tutta la stampa cinese legata al governo, parla di una lezione da trarre dalla vicenda e della necessità anche per la Cina di migliorare la difesa delle proprie reti. Ciò che è stato svelato è l’egemonismo statunitense, scrive. La partenza ha tuttavia evitato ulteriori ripercussioni sulle relazioni sino-statunitensi, è opinione condivisa anche sulle pagine del tabloid. Adesso servirà la buona volontà di tutti per tutelare la sicurezza.

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