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Datagate, perché la Cina ha lasciato andare Snowden

Un’ipotesi si sta facendo strada nella vicenda Snowden. La Cina lo ha lasciato andare. La partenza della fonte sulle inchieste giornalistiche che hanno svelato i programmi di sorveglianza dell’agenzia per la sicurezza statunitense ha rischiato di diventare una nuova spina nei rapporti tra Washington e Pechino. Se gli Usa hanno fatto presente il disappunto per la decisione cinese di lasciare che il “fuggitivo” lasciasse Hong Kong, dove aveva trovato rifugio, nonostante un “valido mandato d’arresto”, la stampa cinese usa toni differenti a seconda delle testate, comunque riconducibili al governo.

Un commento sul Quotidiano del popolo, nella sua versione internazionale, non ha mancato di sottolineare come le informazioni fornite da Snowden abbiano levato la maschera agli Usa. “Non soltanto non chiedono scusa, ma sottolineano il proprio disappunto”, scrive Wang Xinjun, ricercatore all’Accademia per le scienza militari. Il riferimento è ai casi di spionaggio delle reti di telefonia mobile cinese in particolare dell’università Tsinghua a Pechino, hub dell’internet cinese.

L’agenzia ufficiale Xinhua scrive invece di un caso isolato che non deve interferire nelle relazioni tra le prime due economie al mondo. La stessa agenzia nei giorni scorsi non aveva però risparmiato agli Usa la qualifica di fuorilegge. È opinione comune tra gli analisti che Pechino abbia permesso la partenza di Snowden per evitare che una lunga battaglia legale sull’estradizione potesse diventare un’ulteriore causa di tensione tra i due governi.

La stampa di Hong Kong, su tutti il South China Morning Post ha ricostruito le settimane di Snowden nell’ex colonia britannica, in cui era arrivato lo scorso 20 maggio nascondendosi prima in albergo e in seguito, dopo l’intervista al Guardian in cui ha spiegato il perché delle sue azioni, in una casa privata. Gli ultimi giorni sono stati concitati, scrive la stampa locale. In particolare su fa riferimento a una cena tra Snowden e il tema di legali che lo ha assistito nell’ex colonia britannica per decidere il da farsi e al colloquio tra l’ex consulente e un intermediario che gli avrebbe consigliato di lasciare la città.

L’uomo è forse un emissario di Pechino, almeno così sospetta il legale. Di fatto il ruolo di Hong Kong, è una delle ipotesi in circolazione, si sarebbe limitato a garantire la partenza di Snowden, cui già nel giorno in cui è stato emesso il mandato d’arresto gli Usa avevano revocato il passaporto, secondo statunitensi citate dalle agenzie internazionali.

Il caso Snowden ricorda a parti inverse casi di dissidenti e oppositori cinesi che cercano riparo nelle rappresentanze Usa. Situazioni che Pechino gestisce con imbarazzo e difficoltà. In questo caso toccavano anche i rapporti tra Pechino e Hong Kong, con il governo locale stretto tra il rischio di perdere la propria reputazione di enclave per la tutela dei diritti e della libertà d’espressione in Cina e le critiche per il mostrarsi troppo prono alla volontà di Pechino. Secondo alcune letture nel lasciare che Snowden fuggisse da Hong Kong la Cina ha voluto evitare di “umiliare” gli Stati Uniti garantendogli asilo.

Un altra ipotesi guarda alla fuga di Wang Lijun nel consolata Usa di Chengdu a febbraio del 2012. Allora l’ex braccio destro del deposto alto funzionario di Chongqing, Bo Xilai, cercò il sostegno di Washington dando inizio allo scandalo che portò alla caduta del suo boss e fecce esplodere le divergenze interne al Partito nell’anno del congresso che ha sancito il cambio di dirigenza. Gli Usa allora rimandarono Wang indietro. Anche allora si evitò uno stallo la cui gestione avrebbe messo in difficoltà sia Pechino sia Hong Kong.


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