Tra rinvii e polemiche, a Bruxelles si è deciso chi pagherà nel caso del fallimento di un istituto di credito europeo. Salvo lo Stato, nelle fiamme i privati. I ministri economici e finanziari dell’Ue sono riusciti, poco prima delle due la notte scorsa a Bruxelles, a trovare un accordo sul sistema di risoluzione ordinata delle crisi bancarie, che mira a evitare che le perdite finanziarie siano scaricate sui contribuenti con i salvataggi attraverso l’intervento pubblico (‘bail out’).
A pagare invece saranno gli azionisti prima di tutto (‘bail in’), poi gli obbligazionisti e infine i depositanti, ma escludendo quelli protetti dalla direttiva Ue che impone di garantire i depositi sotto i 100.000 euro.
I fondi a livello nazionale
Il nuovo sistema include anche l’obbligo per le banche di costituire un fondo di risoluzione nazionale in ogni Stato membro, che entro 10 anni dovrà raggiungere un ammontare pari almeno allo 0,8% del valore di tutti i depositi protetti detenuti dalle istituzioni creditizie autorizzate nel paese interessato. Il sistema di risoluzione è il secondo pilastro dell’Unione bancaria, dopo il meccanismo unico di vigilanza bancaria già approvato e affidato alla Bce, e prima del sistema europeo di garanzia dei depositi, ancora in alto mare.
Il commento di Saccomanni
Si tratta, secondo i commenti pubblicati su Twitter dal ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni che ha partecipato al negoziato per l’Italia, di “un buon compromesso nella direzione dell’Unione bancaria”, che “contribuisce a spezzare il circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario”, con “un sistema di tutela dei risparmiatori che combina un quadro armonizzato con la flessibilità necessaria a tener conto delle specificità nazionali”. Quest’ultima frase fa riferimento alla battaglia condotta dall’Italia, insieme ad altri paesi come la Francia e contro Germania e Olanda, affinché la “gerarchia delle responsabilità” per coprire le perdite finanziarie in caso di risoluzione di una crisi bancaria non fosse rigidamente determinata e applicata uniformemente in tutta l’Ue, ma consentisse eccezioni decise a livello nazionale.
“La gerarchia”: chi paga per primo
La “gerarchia” prevede che, oltre al fondo di risoluzione, siano chiamati a pagare innanzi tutto gli azionisti delle banche, poi i detentori di bond subordinati (obbligazionisti ‘junior’), quindi gli obbligazionisti “senior” (non subordinati), per finire con i depositi delle grandi imprese; sarebbero toccati solo per ultimi i depositi delle Pmi e quelli delle persone fisiche “non garantiti”, ovvero superiori ai 100.000 euro; non verrebbero coinvolti i depositi inferiori a questa cifra, così come salari e “benefit” delle pensioni del personale.
Il focus italiano sulla tutela degli obbligazionisti
L’Italia insisteva sulla possibilità di tutelare anche gli obbligazionisti, considerando che i risparmiatori spesso investono nelle obbligazioni bancarie per avere interessi maggiori di quelli, oggi molto bassi, che possono ricavarsi dai semplici depositi o libretti di risparmio.
Il compromesso raggiunto nella notte prevede che autorità nazionali di risoluzione abbiano una certa discrezionalità nel modulare l’applicazione della gerarchia delle responsabilità, in particolare “per evitare il contagio” e “distruzioni di valore che comporterebbero perdite a danno di altri creditori”.
Le fasi per entrare in vigore
Trattandosi di una direttiva Ue, il testo dovrà ora essere sottoposto all’approvazione del Parlamento europeo, e poi formalmente approvato dal Consiglio Ecofin a maggioranza qualificata. Ma l’accordo politico, pilotato con ostinazione e determinazione dalla presidenza di turno irlandese del Consiglio Ue, guidata dal ministro delle Finanze Michael Noonan, sarà un primo successo già assicurato che potranno rivendicare i capi di Stato e di governo oggi a Bruxelles, al Consiglio europeo dedicato alla crescita e l’occupazione.