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Europee 2014. Una campagna elettorale tutta da inventare

Le elezioni europee del 2014 potrebbero obbligare i partiti, stavolta, a parlare davvero del futuro dell’UE.
Quale ruolo per la Germania del futuro? Il partito indipendentista in Gran Bretagna farà davvero boom? L’Italia come si collocherà? Iniziamo a ragionare su un appuntamento che ci toccherà più da vicino del solito.

Tra meno di un anno, Maggio 2014, voteremo per le elezioni Europee.
Se ne parla poco, se non per ricordare che nella stessa occasione si potrebbero accorpare europee e politiche, qualora il Governo Letta avesse terminato la corsa.
In Italia le campagne elettorali per le europee sono sempre state caratterizzate dalla forte presenza di temi domestici, con puntuali lamentele di commentatori e giornalisti perché si parla poco di Europa. Forse è normale o forse no ma è un dato di fatto. E in politica guai a non partire dai dati di fatto, come ci insegna Machiavelli parlando di realtà effettuale.

L’UE, questo oggetto un po’ oscuro e lontano, è spesso stato evocato in modo strumentale nelle strategie di comunicazione dei nostri partiti. Ci sono espressioni che ormai ci suonano familiari: ce lo chiede l’Europa o ce lo vieta, a seconda delle convenienze. L’Europa dei banchieri, i tecnocrati di Bruxelles e via dicendo.
Eppure tutto lascia pensare che le prossime europee ci costringeranno questa volta a “parlare di Europa” sul serio, perché dalle ultime elezioni del 2009 è cambiato il mondo e questo non è solo un modo di dire.

Prima di tutto la “questione tedesca” sarà molto probabilmente uno dei temi caldi della prossima campagna elettorale. La Germania, il Paese europeo che meglio di tutti sta resistendo alla crisi, è ormai sinonimo di austerity e per l’arco latino l’austerity è divenuto sinonimo di tasse e stagnazione.
Inevitabilmente anche i nostri partiti dovranno spiegare agli elettori come vedono il nuovo ruolo che di fatto sta assumendo la Germania in Europa, in quale relazione vorranno porsi con essa, cosa si inventeranno per ammorbidire il panzer tedesco sulla politica del rigore.
Certo fino al prossimo 22 settembre, quando si terranno le elezioni in Germania, non è lecito aspettarsi troppo in questo senso.

Come ci ricorda un dettagliato report sulla Germania, pubblicato sull’ultimo numero dell’Economist, la Merkel ama presentarsi ai propri elettori con tre numeri ed una frase ad effetto: 7-25-50. Ovvero l’Europa ha il 7% della popolazione mondiale, il 25% del pil mondiale e il 50% della spesa sociale mondiale. L’Europa non può più permettersi di essere così generosa.
E a quanto pare questa frase piace ai tedeschi, se è vero che, sempre secondo il report dell’Economist, un recente sondaggio ha rivelato che i tedeschi sono più preoccupati dell’inflazione che di sviluppare un cancro

C’è poi un altro fenomeno che converrà tenere d’occhio.
In Gran Bretagna l’UKIP di Nigel Farage, partito visceralmente anti europeo, è in ascesa nei sondaggi dopo i recenti successi in UK.
Un certo scetticismo e persino fastidio verso l’UE non è certo una novità in Inghilterra. Tuttavia l’ascesa dell’UKIP introduce una novità, una rottura rispetto al passato.
Finora questo scetticismo era l’elemento visibile di un sano approccio utilitaristico di fondo, ovvero vediamo costi e benefici dello stare ancora dentro l’UE e valutiamo se uscirne o meno.
E d’altronde da Jeremy Bentham a John Stuart Mill sappiamo quanto questo pragmatismo sia radicato nella cultura politica britannica

L’UKIP però è un’altra cosa. Anche Nigel Farage parla di costi e benefici ma ha introdotto elementi fortemente ideologici e isolazionisti. È un leader che si è dimostrato molto abile nel lisciare il pelo al radicatissimo orgoglio nazionale britannico. Stavolta Cameron e il Partito Conservatore difficilmente potranno fare di nuovo gli equilibristi. Si opporranno a viso aperto all’UKIP o lo rincorreranno a destra?


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