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F-35, perché l’Italia e il Pd non possono dire di no

Gli F-35 continuano a svettare al centro del dibattito politico. E il Pd ora è alle strette in vista dell’appuntamento parlamentare di oggi e domani alla Camera, quando si voterà in aula la mozione contro i cacciabombardieri prodotti dall’americana Lockheed Martin con la partecipazione anche di Alenia-Finmeccanica e altre aziende italiane (da Aerea a Vitrociset).

Il documento, presentato da Sel e da M5S, è firmato infatti anche da una ventina di deputati Pd. “Se fossero davvero 18, in termini numerici il problema non si porrebbe”. Una storia diversa se invece quei deputati fossero “l’avanguardia di un’opposizione più grande”, dichiara in una conversazione con Formiche.net Domenico Rossi, Ufficiale dell’Esercito Italiano, Generale di corpo d’armata e già Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, attualmente capogruppo di Scelta Civica in commissione Difesa della Camera.

La mozione
“Sulla mozione – spiega – c’è da fare un distinguo. Per Scelta Civica se si deve esaminare il problema, bisogna in primo luogo definire nella loro globalità le esigenze della Difesa italiana, in una prospettiva che non può che vedere una reale Difesa europea. E non dimentichiamoci che, nell’ambito della legge 244 del 2012 sulla revisione dello strumento militare, l’art. 4 ha conferito al Parlamento maggiori poteri di controllo sullo sviluppo dei programmi delle Forze Armate. Indipendentemente dal proseguimento del programma F35, il Parlamento potrà quindi comunque esercitare un controllo e un monitoraggio più forte sulle spese per la Difesa”.

Il futuro dell’Aeronautica militare italiana
“La discussione a Montecitorio è fatta proprio per convincere i parlamentari della bontà delle proprie ragioni. Mi auguro che entro lunedì il Pd riesca a trovare una posizione comune per il bene della Difesa italiana e per confrontarci seriamente sul perché della nascita del programma F-35. La discussione avviata da Sel e M5S intende portare all’interruzione immediata della partecipazione italiana al programma di acquisizione e costruzione dei cacciabombardieri F-35”. Ma ecco la domanda fondamentale secondo Rossi: “Chiudiamo l’aeronautica militare? L’Italia è un ponte sul Mediterraneo con kilometri di coste e di spazio aereo da controllare, anche con F-35. Del resto, un dato è riconosciuto da tutti: in 20 anni 236 aerei che ora svolgono quelle funzioni non avranno più capacità operativa. Non si tratta di dare il placet ad un programma da avviare”. Lo stabilimento italiano che sfornerà gli F-35 infatti è quasi pronto. I cacciabombardieri inizieranno a essere assemblati a Cameri, vicino Novara, dal prossimo 18 luglio.

Il profilo occupazionale
“E la discussione è avulsa dalla realtà se si pensa che stiamo per iniziare la quinta ed ultima fase dei lavori, con delle risorse già impegnate”. L’Italia, ha già spiegato Gianandrea Gaiani a Formiche.net, ha infatti contribuito con due miliardi di dollari allo sviluppo del progetto e speso oltre 800 milioni di euro per costruire la fabbrica dello scalo militare di Cameri che contribuisce alla produzione del cacciabombardiere. “I posti di lavoro complessivi legati alla produzione dell’F-35 in Italia sono circa undicimila, di cui 10mila, quelli già esistenti, a rischio se il progetto dovesse essere stoppato”, evidenzia Rossi.

La posizione del ministro Mauro
Ma le polemiche non si placano. “Sono stato mal interpretato dal Corriere della Sera – ha spiegato a Reuters il ministro della Difesa Mario Mauro, che al Paris Air Show di Le Bourget sembrava aver ventilato l’ipotesi di acquistare 131 F-35, e non 90 come stabilito dal suo predecessore Giampaolo di Paola -. Io non ho proposto di riportare gli ordini a 131, come ha scritto il quotidiano, io ragiono su 90. Ho semplicemente fatto presente che non esiste alcun atto parlamentare con cui sia stata registrata la riduzione della commessa dagli iniziali 131 velivoli. Il taglio lo ha deciso il ministero autonomamente dovendo contenere la spesa”, ha detto il ministro. Passo indietro? Non secondo Rossi. “Mauro voleva solo sottolineare che quella di scendere alla soglia 90 è stata una decisione interna di razionalizzazione. La Difesa ha già dato un grande segno d’attenzione al costo del programma. I 90 F-35, d’altra parte, sono il numero minimo indispensabile per garantire il ritorno occupazionale ed industriale garantito dai 131 caccia”. Un favore a Finmeccanica? “Le aziende nazionali coinvolte sono sessanta, senza contare i subfornitori. C’è quindi uno sforzo industriale a tutto campo”.

I costi di manutenzione
La quota 90, secondo il generale, “è una riduzione che non mette a rischio né le capacità operativa dell’Aeronautica militare né quelle occupazionali”. E per sostenere i costi di manutenzione che si profilano elevati, come ha sottolineato anche il Pentagono, “si potrebbero creare delle sinergie di carattere internazionale, specie con le portaerei europee, per trovare delle economie di scala”.

Il nodo nomine
Cosa aspettarsi per le nomine del cda di Finmeccanica che verranno decise a luglio? “Credo che il governo debba avere accortezza, trovando delle persone con competenze ma con spessore e onestà concettuale comprovata – commenta -. Per Finmeccanica vedrei meglio un presidente che venga dall’interno in questo periodo travagliato”. E quanto alla riforma delle nomine per le Spa del Tesoro, secondo Rossi Scelta Civica aveva proposto delle “esclusioni logiche. Ribadisco la nostra posizione come segnale di riformismo e di rinnovamento”. Il giudizio? “Sicuramente non positivo. Forse c’era qualche altra esclusione da fare”, conclude.


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