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Fed e Bank of China sparigliano le carte degli investitori

Uno tsunami al contrario. Pechino frena l’ondata di liquidità e gli investitori scappano per ripararsi dai rischi. La fuga oggi s’è vista con l’asta di titoli cinesi, il primo flop degli ultimi due anni all’indomani della revisione delle stime di crescita per il Paese da parte della Banca Mondiale.

Un mal di pancia degli investitori che temono anche gli Usa. Se il governatore della Fed, Ben Bernanke, cerca di smorzare i toni con un’ambiguità diplomatica sul rallentamento del piano di acquisto di titoli, il Fondo monetario internazionale gira il dito nella piaga. “Exit strategy”, raccomanda l’istituto presieduto da Christine Lagarde, che diventa il “Memento Mori” dei mercati.

L’asta cinese

L’asta odierna di titoli di Stato in Cina è finita parzialmente a vuoto per la prima volta da due anni a questa parte, a riflesso del prosciugarsi delle liquidità nella gigantesca economia asiatica, che intanto rallenta i suoi elevati tassi di crescita. Il ministero delle Finanze cinese ha riferito di esser riuscito a collocare solo 9,5 miliardi di yuan di bond, circa 1,16 miliardi di euro, a fronte di una offerta totale che raggiungeva 15 miliardi.

La strategia della banca centrale cinese

Il tutto mentre secondo il Financial Times la Banca centrale ha omesso di iniettare liquidità supplementare nel sistema economico, a dispetto di vari segnali di inasprimento delle condizioni nel sistema creditizio e bancario. “La scelta non è tra stringere i cordoni della borsa o no, ma quando farlo. Prima si muovono, meno costa. Se aspettassero ancora, ci sarebbe il rischio di trovarsi di fronte un numero maggiore di insolvenze”, ha spiegato al quotidiano della City Zhang Zhiwei di Nomura.

Liquidità e riforma bancaria

La Banca centrale cinese ha sostenuto la ripresa dell’economia dalla fine del 2012 con iniezioni di liquidità attraverso operazioni di mercato aperto, ma ha rallentato il ritmo negli ultimi mesi. Nel frattempo, le autorità bancarie hanno lavorato per ridurre la crescita dello shadow banking stabilendo nuove regole e nuovi criteri contabili.

Le previsioni di crescita

Secondo gli analisti è una prova della volontà dei dirigenti cinesi di ridurre i rischi di surriscaldamento dell’economia, anche se al prezzo di un certo rallentamento della crescita. Il tasso di crescita dell’economia cinese si è fermato al 7,7% nel primo trimestre del 2013 rispetto allo stesso periodo del 2011, dal 7,9% dell’ultimo trimestre del 2012, e Banca Mondiale ed analisti sono convinti che la frenata possa essere ancora più forte nel secondo.

Il gioco della Fed

D’altra parte è anche un altro segnale del quadro incerto che grava sull’Asia in generale, nella prospettiva di un futuro inasprimento della politica monetaria americana che potrebbe implicare rendimenti più appetibili dei titoli Usa, e sta provocando un generale deflusso di fondi dalla regione verso il Nord America. Movimenti che nelle ultime settimane hanno provocato elevata volatilità delle Borse asiatiche, con ripetuti cali.

Le prospettive del Fmi per gli Usa

Pechino guarda all’altra sponda del Pacifico, ma le prospettive economiche non sembrano stabilissime neanche a Washington. La ripresa negli Stati Uniti è “rimasta tiepida nell’ultimo anno”, ma “i fondamentali sono migliorati in modo graduale”, si legge nel documento conclusivo della missione Articolo IV negli Stati Uniti, la valutazione annuale del Fondo monetario internazionale, secondo cui “la Fed, in modo appropriato, prosegue con la politica monetaria accomodante”.

Un’exit strategy morbida

In un momento in cui i benefici derivati dall’acquisto di asset continuano a superare i costi, dice il Fmi, la Banca centrale americana “dovrebbe continuare la preparazione di un’uscita morbida”, tenendo presente i problemi collegati a un giro di vite. Anche se la strategia della Fed ha dato “significativo sostegno alla ripresa americana e globale“, un lungo periodo di tassi eccezionalmente bassi “potrebbe implicare conseguenze non desiderate per la stabilità finanziaria interna”. Prima si è ammorbidita la politica monetaria, adesso morbida serve l’exit strategy. In corsa rimarrà solo il Giappone?

 


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