Per quanto fatichi a far breccia nel mainstream economico del nostro tempo, è chiaro a tutti che la crisi che stiamo vivendo non è nata ieri, e neanche nel 2008, quando è esplosa.
Ed è altresì chiaro a tutti coloro che hanno orecchie per ascoltare e occhi per leggere, che il nostro tormento non nasce dai bilanci pubblici, che semmai ne hanno patito le conseguenze, ma dalle bilance dei pagamenti. Ossia da quegli squilibri globali fra i paesi che vanno avanti da qualche decennio almeno e che finora, fino al 2008, sono stati sopportati solo dai paesi emergenti.
La vera novità di questa crisi è che dal 2008 in poi gli “sbilanci” dei pagamenti internazionali, alimentati da una pratica finanziaria dissoluta, hanno colpito il cuore del mondo benestante (e malvivente).
Cioé noi.
Ecco perché la crisi è d’attualità.
Ai molti che oggi vogliono capire, suggerisco la lettura dell’ultima relazione della Banca d’Italia, che dedica un capitolo proprio al tema degli squilibri delle bilance dei pagamenti. Contiene un’utilissima tabella che riepiloga i numeri degli ultimi tre anni.
E’ la migliore fotografia disponibile della realtà contenuta in una pagina e la migliore sintesi possibile di quello che sta accadendo.
Per semplificarne la lettura, dividiamo il mondo in due blocchi: i debitori e i creditori. Nel migliore dei mondi possibili (quindi non il nostro) dovrebbe succedere che prima o poi queste due categorie si incontrino per chiudere i conti.
La logica dello squilibrio permanente, che sottintende quella del debito eterno, invece si basa sul presupposto che tali conti non si chiudano mai. Anzi, si chiede alla finanza si escogitare gli strumenti per mitigarne gli effetti manovrando la liquidità, che infatti non viene lesinata, per rendere questi debiti sostenibili.
Ma il problema rimane. Anzi: persiste. I due blocchi rimangono ben distinti e separati, senza che si intraveda la minima possibilità di dissoluzione. Con la conseguenza che gli squilibri generano crisi itineranti e sempre più gravi che richiedono misure sempre più straordinarie.
Ormai va avanti così da decenni.
Nella classifica dei debitori, i campioni sono ovviamenti gli Stati Uniti. Forti del loro ruolo di fornitori di mezzi di pagamento internazionale (il dollaro), sui quali lucrano un abbondante signoraggio, gli Usa sono l’unico paese al mondo che guadagna indebitandosi. E ciò spiega perché il peggioramento del loro saldo corrente, dai -442 miliardi del 2010 ai -475 miliardi del 2012, sia vissuto con letizia dai nostri cugini americani.
Per la cronaca, nel 2008 tale saldo era negativo per 677,1 miliardi di dollari. Nel 2010, poi, quando la paura spinse gli investitori di tutto il mondo a comprare asset americani, gli afflussi di portafoglio arrivarono alla cifra stratosferica di 871 miliardi, mentre gli afflussi netti complessivi superarono i 1.308 miliardi.
Nel 2012, quando ormai il gusto per il rischio è tornato a stimolare gli appetiti di tutti, gli afflussi netti complessivi sono crollati a 384 miliardi.
Il grande debitore, insomma, è anche quello che ha più appeal di tutti, quando soffia la bufera. Sembra una contraddizione, ma in realtà tutto ciò è perfettamente coerente con il modo in cui è stato costruito, da Bretton Wood in poi, il sistema finanziario internazionale.
Fra gli ex debitori, invece, troviamo l’area dell’euro. L’eurozona nel suo complesso, che risultava debitrice nel 2010 per 2 miliardi, ha visto diventare positivo il suo saldo del conto corrente dal 2011 in poi, arrivando persino a 156,7 miliardi nel 2012, l’1,3% del Pil. “Merito” dell’austerità, che ha ridotto le importazioni, ma anche della ritrovata serenità, via Bce, sul mercato del debito sovrano.
La situazione dell’eurozona è esemplare perché replica al suo interno la logica dello squilibrio globale. E’ una sorta di microcosmo, con l’aggravante dei cambi fissi. Ne parleremo in un altro post.
Fra i debitori, invece, troviamo altri due grandi paesi, ossia la Gran Bretagna, che ha visto peggiorare il suo saldo corrente dai -57,6 miliardi di dollari del 2010 ai -85,5 del 2012, e poi il Canada, il cui deficit è passato da 58,4 miliardi a 67 miliardi di dollari.
Ricapitoliamo: gli ultimi tre anni di crisi hanno peggiorato lo stato di paesi storicamente debitori, Usa in testa, è migliorato la condizione internazionale dell’Eurozona, il cui surplus, per lo più in mano tedesca, si avvicina a quello della Cina (che era 213 miliardi nel 2012).
Prima di parlare della Cina, e quindi dei grandi creditori, è utile ricordare che fra i grandi debitori c’è anche l’America Latina, il cui deficit è passato dai 60,7 miliardi del 2010 ai 99,5 del 2012. La gran parte di questo deficit è attribuibile al Brasile, che nel 2010 era in deficit per 47,3 miliardi e nle 2012 per 54,5. Non a caso il Brasile, pochi giorni fa, ha alzato il tasso di sconto.
Questo per quelli che magnificano lo stato di salute dei Bric.
A proposito di Bric. Peggio del Brasile fa l’India, che peggiora il suo saldo corrente dal deficit di 52,2 miliardi a 93,3 miliardi di dollari. Un altro grande debitore che si affaccia nell’agone del mondo globale.
Infine, l’ultimo plotone di debitori è formato dai paesi dell’Europa centrale e orientale, il cui saldo, per quanto negativo, è tuttavia migliorato dal 2010, passando da -82,9 miliardi a -79,3. L’eurodepressione, insomma, fa bene anche a loro.
A fronte di queste montagna di debiti si erge l’altrettanto irta montagna di crediti, concentrata sostanzialmente in Asia (e in Germania), e fra i paesi esportatori di petrolio. La somma dei crediti fra Asia e esportatori, nel 2012, ammontava a 880 miliardi di dollari, nel 2012, a fronte dei 731 del 2010. Come è logico che sia, i crediti aumentano all’aumentare dei debiti.
La Grande crisi, insomma, ha solo peggiorato gli squilibri, non li ha mitigati. E sarebbe stato strano il contrario. E’ facile prevedere che l’aumentare di tali squilibri condurrà molto presto a una nuova crisi.
E’ utile però sottolineare alcune caratteristiche dell’esercito dei creditori.
La prima riguarda il Giappone, che ha visto prosciugarsi il suo surplus corrente dai 204 miliardi del 2010 ai 59 del 2012. “Merito”, anche questo, dell’eurodepressione, che ha ridotto le importazioni dall’eurozona.
La stessa sindrome che ha colpito la Cina, che ha ridotto il suo surplus dai 237 miliardi del 2010 ai 213 del 2012, minimo dal 2008, dopo aver toccato il minimo del triennio nel 2011 (201 miliardi).
Ma Giappone e Cina hanno un altro punto in comune: il calo vertiginoso delle riserve valutarie. Nel 2012 il Giappone le ha viste diminuire di 31 miliardi di dollari, la Cina aumentare “solo” di 128, ben al di sotto dei 450 miliardi del 2010. Motivo: da un parte la riduzione degli avanzi commerciali (dovuto anche all’aumento delle importazioni), dall’altra il calo degli afflussi di capitali dall’estero. La Cina, evidentemente, sta diventando meno attrattiva per gli investimenti diretti. O forse, l’abbondante liquidità messa a disposizione dalla banche centrali ha trovato impieghi più fruttuosi.
Quanto agli esportatori, Opec e non Opec, ormai sono diventati loro la cassaforte dei crediti di mezzo mondo. Insieme capitalizzano un surplus, nel 2012, di 605 miliardi. Unica eccezione fra loro, il Messico, il cui conto corrente è andato in deficit da quando dall’estero sono iniziati ad arrivare capitali, con grande preoccupazione delle autorità monetarie, memori della grande crisi che colpi lo stato negli anni ’90.
Questa fotografia dello stato dell’arte fra debitori e creditori mondiali ridisegna, da un punto di vista economico se non politico, lo stato attuale degli interessi globali. La prima cosa che salta all’occhio è che i creditori sono geograficamente vicini: in pratica il blocco euro-asiatico. Così come sono vicini, quantomeno “ideologicamente” i debitori, che potremmo chiamare blocco euro-atlantico, con la Gran Bretagna (che infatti vuole uscire dall’Ue) ambasciatrice in Europa.
Poi c’è un’altra considerazione. Una Santa Allenza fra Creditori, a difesa dei loro crediti, potrebbe facilmente mettere in mora i Grandi Debitori, che vogliono inflazionare i propri debiti, costringendoli a ridiscutere l’intero impianto del sistema finanziario internazionale, a cominciare da quello monetario.
Non a caso fu il governatore della banca centrale cinese, nel 2009, a chiedere a gran voce una riforma complessiva del meccanismo globale.
Ma finora non se ne è fatto nulla. Forse in attesa di crisi di maggiore magnitudo.
O più probabilmente perché, a questo livello, non è più la teoria economica che fa la differenza.
E’ la forza.