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Il miracolo americano che trasforma i debiti in crediti

Il debito americano è una cosa meravigliosa, potremmo dire parafrasando Frank Capra. Nel senso che genera meraviglia. E non tanto per l’entità, ormai gigantesca sia sul versante interno che estero, ma per le sue qualità.

Perché i debiti americani, oltre ad essere unanimamente (e silenziosamente) considerati irredimibili e ciò malgrado considerati un porto sicuro, hanno anche un’altra caratteristica unica: producono interessi netti positivi.

In pratica gli Usa più si indebitano, più guadagnano.

Chi non lo farebbe al posto loro?

Questa meravigliosa versione del sogno americano ha precise ragioni storiche, che magari approfondiremo  una volta o l’altra. Quello che qui vale la pena rilevare è un’altra cosa: il miracolo in sé.

Gli addetti ai lavori, le poche volte che ne parlano, lo chiamano “signoraggio”, utilizzando un termine foriero di equivoci e fraintendimenti. Il che alza una cortina fumogena su un fatto tecnico che è importante comprendere bene, visto l’influenza che ha nel circuito degli squilibri globali di cui abbiamo parlato.

Partiamo da un concetto che abbiamo già incontrato più volte, ossia la posizione netta sull’estero, quella che in inglese si chiama Net international investment position (Niip). I dati della positione netta degli investimenti sull’estero, che si rivolgono sia al settore pubblico che a quello privato e che sono sia diretti che di portafoglio, ci dicono molto dello stato di salute della bilancia dei pagamenti dello stato a cui si riferiscono.

Se ho una posizione netta negativa sull’estero per gli  investimenti, sulla bilancia dei pagamenti risulterà un afflusso sul conto finanziario (ingresso di capitali, segno più, quindi debito) e una voce negativa alla voce redditi del conto corrente, visto che ai debiti di solito corrisponde una passività, ossia il pagamento di un interessi ai creditori.

E’ chiaro a tutti che più un paese è esposto con l’estero, più dipende dai prestiti per pagare i suoi debiti. Quindi una posizione netta sugli investimenti negativa crescente dovrebbe spaventare. Almeno quanto un deficit commerciale crescente.

E infatti spaventa tutti, ma non gli Usa. E nemmeno i creditori degli Usa. Anche questo fa parte del miracolo, ma ne parleremo un’altra volta.

Guardiamo i numeri. A fine 2012 il Niip americano era negativo per oltre 4.416 miliardi di dollari, che su un Pil a prezzi correnti, sempre a fine 2012, di 15.680 miliardi significa più o meno un deficit di oltre il 28% sul Pil. Per la cronaca, tale deficit è esploso in valore assoluto dalla fine del 2010, quando era di appena -2.473 miliardi. A fine 2011 era già arrivato a -4.030 miliardi. Quindi in due anni è aumentato di 2.000 miliardi circa.

Poiché la Niip rappresenta il saldo fra gli investimenti degli Stati Uniti all’estero (sia diretti che di portafoglio) e gli investimenti dei paesi esteri negli Stati Uniti, un peggioramento così drammatico del saldo può significare solo che gli investimenti esteri sugli Usa sono cresciuti assi più che gli investimenti degli Usa all’estero.

Infatti gli investimenti degli Usa all’estero erano 20.298 miliardi a fine 2010 e sono diventati 20.760 miliardi a fine 2012, dei quali circa 3.600 miliardi di derivati.

Gli investimenti sugli Usa dall’estero, invece, erano 22.772 miliardi a fine 2010 e sono diventati 25.176 a fine 2012, di cui circa 3.500 miliardi di derivati.

Di questa montagna di soldi sono una quota minore sono investimenti diretti, circa 3.930 miliardi a valori di mercato di fine 2012. La gran parte, quindi, sono investimenti di portafoglio.

Ovviamente la parte del leone la fanno i titoli di stato americani, i cui acquisti dall’estero sono aumentati di 1.000 miliardi nell’ultimo triennio (da 3.600 miliardi a 4.600 circa). E altrettanto i titoli del Tesoro, i T-bill, titoli a breve come i nostri Bot, cresciuti anch’essi in volume di circa 1.000 (da 2.900 a 3.900 miliardi). La loro somma, circa 2.000, spiega l’allargamento del deficit della Niip.

Veniamo al punto. Ogni investimento, com’è logico che sia, ha un tasso di rendimento. Tale rendimento viene registrato nella parte corrente della bilancia dei pagamenti come credito (segno positivo) quando si riferisce ai ricavi ottenuti dagli investimenti degli Stati Uniti all’estero, e come debito (segno negativo) quando si riferisce ai pagamenti effettuati sugli investimenti fatti negli Stati Uniti dall’estero.

E qui che il  miracolo viene fuori.

Gli Stati Uniti ottengono dai propri investimenti internazionali un rendimento mediamente superiore, qualcuno ha calcolato di circa un terzo, rispetto ai pagamenti che devono effettuare sui propri debiti internazionali.

Tale situazione non è mai mutata negli ultimi 40 e passa anni, e ciò malgrado a un certo punto, e metà degli anni ’80, in corrispondenza con la grande espansione creditizia iniziata in quegli anni, la Niip inizia a diventare negativa fino al clamoroso deficit del 2012.

Paradossalmente il rendimento degli investimenti americani aumenta all’aumentare del deficit della Niip.

Se guardiamo solo ai dati degli ultimi tre anni, abbiamo che i 171 miliardi di ricavi da investimenti americani all’estero diventano 185 miliardi a fine 2012. Mentre i pagamenti sugli investimenti dell’estero in America passano da 126 miliardi circa a 135. Questo a fronte di una leggera diminuizione dei primi e un rilevante aumento dei secondi.

Al netto, a fine 2012 gli Usa avevano ottenuti crediti per 50 miliardi di dollari sulle partite correnti, grazie ai loro debiti internazionali.

Non vi sembra un miracolo?

Come si spiega? Per dirla con le parole di Alan Greenspan, ex capo della Fed, gli Usa ottengono un reddito “dato dal rendimento di titoli, che fruttano interesse, acquistati attraverso l’emissione di moneta, su cui non si paga al portatore alcun interesse, o, al più, un tasso inferiore al tasso di mercato”.

Una spiegazione che praticamente coincide con la definizione di signoraggio, illustrata sempre da Greenspan in un celebre testo. Secondo il banchiere, il signoraggio è “la differenza fra l’interesse che la banca centrale non paga sui suoi debiti e quello che la banca riceve usando i suoi debiti per comprare debiti altrui”.

In pratica è come se l’America fosse la banca centrale del mondo, solo che invece di emettere moneta emette titoli di stato.

Questi titoli di stato americani, ormai sono diventati la vera moneta moneta internazionale, basata sull’unità di conto dollaro: stanno a riserva nelle banche centrali e sono il mezzo di pagamento degli scambi internazionali. Su tale moneta, proprio come una banca centrale, gli Usa non pagano interessi “o pagano un tasso inferiore al tasso di mercato”.

Ecco qua spiegato l’arcano.

Il succo è che da quasi trent’anni gli Usa campano di rendita. Ma sui debiti.

La vita (americana) è davvero una cosa meravigliosa.

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