Skip to main content

Ilva, Eternit e ThissenKrupp: i tre atti storici della magistratura italiana tra lavoro e diritto alla salute

I tre atti della magistratura italiana che hanno sancito l’indivisibilità di due diritti fondamentali: il diritto alla salute e alla vita con il diritto al lavoro.  La storica sentenza (compresa quella di secondo grado) della ThyssenKrupp, la vicenda dell’Ilva e la sentenza di ieri della Corte d’Appello di Torino sul caso Eternit e le oltre 2 mila morti per amianto, che ha condannato a 18 anni di reclusione l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche, sanciscono una svolta storica. Il ricatto tra lavoro o salute non regge più.

Il principio che si è affermato in queste sentenze è quello della responsabilità diretta dei vertici delle aziende che con le loro omissioni e mancati provvedimenti in tema di sicurezza sul lavoro, si rendono colpevoli di omicidio, e per questo condannati. E’ la prima volta che si giunge a sentenze di questo tipo nella nostra storia repubblicana. Omicidio doloso, nei casi della ThyssenKrupp e Eternit e blocco delle attività, sequestro dei beni e commissariamento a tempo (notizia di oggi) nel caso dell’Ilva di Taranto, in sui si è “bloccata” la più grande acciaieria d’Europa. Non è escluso che in futuro i Riva non vengano chiamati sul banco degli imputati anche per il reato di omicidio doloso da parte dei familiari degli operai deceduti per malattie professionali causate dall’acciaieria.

Le dichiarazioni del legale di Schmidheiny, a riguardo della sentenza Eternit, sono sconcertanti quando dice: “Adesso quale imprenditore straniero investirà in Italia?”. Certamente la competitività del Paese non può passare da una sorta di lassismo sistematico nei confronti  del rispetto delle regole in tema di sicurezza. E’, questa, una visione barbara e incivile della competizione globale.

Sono altri i fattori della competitività. Anche perché, se scendessimo su questo terreno ci sono molti paesi che da questo punto di vista hanno zero regole e sono “più competitivi”, e che suscitano l’interesse di alcune grandi gruppi senza scrupoli, come in Bangladesh in cui nel disastro dello scorso aprile a Dacca, nella fabbrica di jeans chiamata “Rana Plaza”, hanno perso la vita oltre mille operaie.

Adesso, però, è arrivato il tempo della politica e del sindacato, che tal volta ha ceduto al ricatto e non fatto fino in fondo il suo dovere. Il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro del 2009, è stato un passo avanti nel tentativo di rendere più semplice il rispetto delle norme sulla sicurezza, attraverso provvedimenti di snellimento burocratico che hanno reso più facile l’applicazione delle norme. E le recenti sentenze dimostrano l’infondatezza delle ragioni di coloro che criticavano il Testo, soprattutto la Cgil, bollandolo come una sorta di provvedimento di “depenalizzazione”. Adesso occorre avviare un piano di prevenzione e di monitoraggio per evitare altre morti, evitare che le aziende chiudano, evitare che gli imprenditori finiscano in galera e che la politica industriale la decidano i giudici.  Per far questo ci vogliono i soldi e le aziende, in questo periodo di “Grande Crisi”, né hanno pochi. Perché, allora, non dirottiamo parte del famoso tesoretto dell’Inail, fatto di diversi (19?) miliardi di euro, allo scopo? Fulvio Giacomassi, segretario Confederale della Cisl, ha ricordato in un recente intervento che nell’ultima rivelazione ufficiale del Nimby forum  si sostiene che in Italia vi sono ancora 331 conflitti ambientali che interessano centrali elettriche, discariche, termovalorizzatori e cosi via. Aspettiamo la prossima sentenza per fare qualcosa?

L’obiettivo è sanare le aziende non in regola, e salvare così il lavoro e il diritto alla salute e alla vita, e per questo serve la politica e non la magistratura. E l’accordo di programma del luglio 2012 relativo all’Ilva che ha previsto lo stanziamento di ingenti risorse economiche (336 milioni di euro) in opera di bonifica ambientale e nuove regole (la nuova AIA), garantendo nel contempo produzione e occupazione, è forse l’unica via possibile per salvare insieme lavoro, impresa e salute.



×

Iscriviti alla newsletter