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Intesa sulla rappresentanza sindacale: un buon accordo e qualche ombra

Il lungo cammino della revisione del nostro sistema di relazioni industriali segna una nuova tappa: l’accordo sulla rappresentanza sindacale. Lo scorso 31 maggio è stato siglato l’accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil (a breve dovrebbe aggiungersi anche l’Ugl), da loro definito “storico”.  Uno dei punti rilevanti dell’accordo riguarda, sostanzialmente, l’introduzione della soglia di sbarramento del 5% (raggiunta tramite un mix tra iscritti e eletti nelle RSU) per poter accedere al tavolo delle trattative, firmare contratti e accordi e essere riconosciuti come interlocutore. Ovviamente, le tante sigle sindacali minori non hanno apprezzato l’intesa e sono sul piede di guerra parlando di incostituzionalità e di “accordo della vergogna”. Uno dei punti e delle incongruenze messe sotto accusa, riguarda l’impossibilità, stante le attuali regole del settore privato, di far valere i propri iscritti. Infatti, nel privato, i sindacati non firmatari del contratto nazionale non hanno diritto alla ritenuta in busta paga che viene fatta ad ogni iscritto al sindacato, la cosiddetta delega, e quindi sono esclusi dalla possibilità di far pesare i propri iscritti ai fine del conteggio utile per il superamento dello sbarramento del 5%.  Vedremo in sede di applicazione se verranno posti dei correttivi in tal senso.

L’altro punto rilevante dell’accordo, riguarda l’introduzione del principio di maggioranza e la cosiddetta “validazione certificata”. In sostanza, un accordo per essere valido erga omnes, ossia per tutti i lavoratori, dovrà avere il consenso del 50+1 per cento dei lavoratori tramite diverse forme di consultazione che saranno le singole categorie a definire.  Così c’è scritto nel testo dell’intesa.

Questo è un punto centrale che ratifica il principio dell’esigibilità dei contratti, già previsto nei precedenti accordi interconfederali e che mette le aziende in una condizione di maggior tranquillità, disinnescando, probabilmente, un clima e una strategia di lotta sindacale permanente messa in atto soprattutto da sigle irriducibili come la Fiom, che ricorrono spesso e volentieri alla via giudiziaria pur di affermare la loro linea di minoranza.  Diciamo che l’accordo, in questo senso, ingabbia, in parte, soprattutto i metalmeccanici guidati da Landini ma allo stesso tempo, però, gli concede la tanto agognata consultazione di tutti i lavoratori sugli accordi.

Le altre single sindacali, invece, che non hanno firmato l’intesa, sono vincolate? Probabilmente no, perché trattandosi di un’intesa che obbliga i firmatari, quindi Cgil, Cisl e Uil, lascia spazio di manovra formale agli altri che non hanno firmato e che potranno contestare i vari accordi di maggioranza con gli strumenti tipici dei lavoratori, come lo sciopero e il ricorso contro gli accordi.

Il principio di accordo a maggioranza, inoltre, non esclude intese di minoranza. Trattandosi di un accordo tra soggetti sociali privati, questi non possono prevedere, com’è ovvio, la modifica della legge e in questo caso, il nostro codice civile sancisce il principio di libertà nella negoziazione. Sul piano formale, quindi, non dovrebbe essere esclusi, sulla carta, accordi di minoranza.

In sintesi, l’accordo è certamente positivo e rappresenta un ulteriore passo avanti verso un modello di relazioni industriali che premi la collaborazione a scapito della conflittualità. Questo, tuttavia, non garantirà la pax sindacale generalizzata perché fuori dalla rappresentanza dei sindacati confederali ci sono una moltitudine di sigle autonome, alcune delle quali con un significativo peso numerico, che non si rassegneranno al tentativo di marginalizzarli che i sindacati storici vogliono ottenere con l’intesa del 31 maggio.

C’è chi, come Landini, vorrebbe fare un passo in più, e propone che l’accordo diventi legge con l’intento di obbligare tutti a rispettare tali regole, compresa la Fiat che dopo la fuoriuscita dalla Confindustria non è vincolata all’intesa sulla rappresentanza.  In questo caso, pero, credo che in pochi cederanno alle richiesta della Fiom, a partire dalla Cisl che ha già ceduto molto in questo accordo sullo principio del “sindacato associazione” (il sindacato rappresenta e tratta solo per i propri iscritti e non per tutti i lavoratori) che costituisce uno dei capisaldi della identità cislina.



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