Quasi sicuramente ci sarà bisogno del ballottaggio per conoscere il nome del successore di Mahmoud Ahmadinejad. Nessuno dei sei candidati rimasti in gara dopo il ritiro del riformista Mohammad Reza Aref e del conservatore Gholam-Ali Hadad-Adel sembra infatti in grado di raggiungere la maggioranza assoluta al primo turno.
Come da tradizione, la campagna elettorale si è accesa negli ultimissimi giorni. Appena un mese fa queste elezioni venivano definite un confronto tutto interno al fronte conservatore, senza una reale possibilità di cambiamento dopo gli otto anni di Ahmadinejad. Questa impressione sembrava rafforzata dall’esclusione da parte del Consiglio dei Guardiani di Hashemi Rafsanjani. La contemporanea esclusione di Esfandiar Rahim Mashai, consuocero e delfino del presidente uscente, ha invece tolto di scena il candidato che avrebbe potuto rappresentare la continuità con l’amministrazione uscente.
Le elezioni non si sa ancora chi le vincerà, ma la campagna elettorale ha un vincitore chiaro: Hassan Rowhani. Pur non essendo ascrivibile al cento per cento al fronte riformista, è sostenuto da forze che hanno sempre sostenuto candidati riformisti, come ad esempio il partito Mosharekat (“condivisione”) e l’Associazione del clero combattente. Negli ultimi giorni di campagna ha ricevuto i pesantissimi endorsment di due ex presidenti: il riformista Mohammad Khatami e il già citato Rafsanjani. Una campagna di comunicazione molto abile, ha trascinato alle urne una massa di iraniani delusi e depressi dal voto del 2009.
Promette agli iraniani “moderazione e speranza”. È l’unico religioso tra gli otto candidati ammessi il 21 maggio. Può sembrare un paradosso, ma è un dato indicativo dei cambiamenti della politica interna iraniana.
Se Rowhani è la sorpresa, la delusione è Ali-Akbar Velayati. A lungo ministro degli Esteri, è sicuramente il candidato preferito dalla Guida Ali Khamenei. Ma in questa campagna elettorale ha dimostrato scarsa personalità e più volte si è vociferato di un suo ritiro a favore di un altro candidato conservatore.
Era partito forte Saeed Jalili, candidato del Fronte della resistenza, trionfatore alle elezioni parlamentari del 2012. Sostenuto dai basiji, è il più radicale tra i conservatori in lizza. Attuale capo negoziatore sul nucleare, ha adottato uno slogan che dice tutto: “Nessun compromesso, nessuna sottomissione, solo Jalili”. Non va sottovalutato il sostegno che potrebbe raccogliere nei ceti popolari, ma al momento sembra un passo indietro rispetto a Rowhani e all’attuale sindaco di Teheran Mohammad Bagher Qalibaf. Conservatore pragmatico, ex capo dei Pasdaran, punta all’innovazione del Paese e alla riforma della macchina amministrativa. Potrebbe, proprio in quanto “falco”, essere un interlocutore credibile in una trattativa con l’Occidente. Però all’interno del fronte conservatore non sembra in grado di fare il pieno dei voti.
L’ultimo sondaggio alla vigilia del voto dice: Rowhani 38%, Qalibaf 24,6%, Rezai 13,7%, Jalali al 12,6%, Velayati al 9,7%. Così andrebbero al ballottaggio Rowhani e Qalibaf.
L’affluenza è alta, tanto che è stata prolungata di due ore l’apertura delle urne. Alta anche la partecipazione al voto degli iraniani all’estero. All’ambasciata di Roma hanno votato in tanti, soprattutto giovani. Non si respira certo l’entusiasmo del 2009, ma c’è comunque grande attesa.
Antonello Sacchetti è giornalista, ha pubblicato I ragazzi di Teheran (2006), Misteri persiani (2008), Iran. La resa dei conti (2009) e Trans-Iran (2012).