I militari cinesi hanno iniziato a condurre operazioni nella zona economica esclusiva statunitense. La conferma è arrivata durante una sessione dello Shangri-La Dialogue, vertice sulla sicurezza e la difesa in corso a Singapore, nel corso della quale un ufficiale dell’esercito cinese ha fatto accenno alla “reciprocità” e all’invio di navi e aerei entro le 200 miglia nautiche fuori dalla costa Usa.
Dall’incontro, come confermato anche dall’ammiraglio Samuel Locklear, a capo dello Us Pacific Command, è addirittura arrivata la conferma che in alcune occasioni Pechino ha inviato i propri mezzi nella zona economica esclusiva.
Già lo scorso mese, tra le pagine del rapporto annuale che analizza la forza militare del Dragone, il Pentagono scriveva delle operazioni cinesi nelle Zee di altre nazioni.
A differenza di quanto si potrebbe pensare la notizia e la conferma non sono state accolte con sospetto da Washington. Al contrario le ammissioni cinesi fanno cadere le obbiezioni e le critiche della Repubblica popolare contro le stesse operazioni svolte dalla marina Usa, in gran parte per la raccolta di informazioni di intelligence e sorveglianza.
Ogni Paese ha il diritto esclusivo di sfruttare le risorse naturali nelle 200 miglia nautiche dalla costa, in un tratto di mare diverso dalle acque territoriali che si estendono per dodici miglia dalle linee di base costiera.
Come sottolinea Rory Medcalf sul blog Interpreter dell’australiano Lowy Institute, i commenti dell’ufficiale cinese, pur senza specificare se i messi della Rpc siano stati inviati per raccogliere informazioni di ntelligence o semplicemente per marcare la propria presenza, fanno di fatto cadere l’interpretazione cinese della Convenzione Onu sul diritto del mare, ossia l’idea secondo cui la libertà di navigazione non comprende il diritto a svolgere operazioni di sorveglianza.
D’altra parte, sottolinea, se Pechino avesse continuato con la vecchia interpretazione un terzo della acque al mondo sarebbe stato teoricamente inviolabile. Con il rinnovato interesse Usa per la regione dell’Asia e del Pacifico, anche il raggio d’azione cinese si sta allargando. Forse, conclude Medcalf, potrebbe non essere una brutta notizia, considerati gli apparenti progressi del dialogo tra militari delle due potenze.